Inizialmente passato inosservato, l’articolo “Albert Einstein Institution: la non-violenza versione CIA”, pubblicato su Voltairenet.org il 4 gennaio 2005 [1], ha suscitato un dibattito internazionale quando il presidente Hugo Chavez Frias ne ha dato lettura pubblica il 3 giugno 2007 [2].

Poco dopo, il fondatore di quest’istituto di ricerca, Gene Sharp ha scritto una lettera aperta al presidente Chavez per chiedergli di riconsiderare le sue opinioni ed una seconda alla mia attenzione per chiedermi di tornare alla resipiscenza [3]. Poiché queste missive non hanno convinto, numerosi autori hanno sviluppato la critica all’Albert Einstein Institution, in particolare la dott.ssa Eva Golinger in Venezuela [4]. Per fermare la polemica, il professore Stephen Zunes, personalità in vista presso l’intelligencia progressista statunitense ha preso la difesa del suo amico Gene Sharp ed ha riunito firme prestigiose, tra cui quella di Noam Chomsky, attorno ad una petizione di sostegno [5].

La dott.ssa Eva Golinger ha già risposto a Stephen Zunes e mi asterrò da riprendere qui le sue argomentazioni che dividono tutti [6]. Considerando che gli articoli del dossier sono chiarificanti per l’Albert Einstein Institution, non discuterei di nuovo la questione ormai ben conosciuta sul ruolo di quest’organismo nelle pretese “rivoluzioni” colorate. Mi concentrerò sul significato e le motivazioni della petizione iniziata dal professore Zunes.

In occasione dell’indipendenza dell’India, Mohandas K. Gandhi, presentava la lotta contro l’imperialismo britannico sotto un aspetto religioso e morale. Intendeva costruire un’India indipendente avente l’induismo per religione nazionale ed organizzata attorno al sistema delle caste. Contrariamente a ciò che si pensa spesso, non s’era opposto alla violenza in sé, ma considerava che doveva essere esclusiva della casta degli Kshatriya. Aveva dunque immaginato un modo di lotta anti-imperialista per le altre caste: la non-violenza.

Gandhi s’era rivoltato alla sovranità britannica. Ma era invece indifferente alla dominazione di alcune caste su altre, ed a esclusione dei pariah, non vi percepiva alcuna violenza. Gandhi diresse il movimento di liberazione nazionale in una difficile coabitazione con Jawaharlal Nehru. Quest’ultimo immaginava un’India indipendente laica e socialista, liberatasi dal sistema delle caste. La loro azione comune permise di cacciare l’occupante. Il progetto di società del Mahatma Gandhi non poté trionfare.

Per timore, i musulmani esigettero la creazione del Pakistan. La divisione del paese fece un mezzo milione di morti e dodici milioni di profughi in pochi giorni. Così, la non-violenza di Gandhi, messo al servizio del movimento di liberazione nazionale, ha in gran parte contribuito all’indipendenza dell’India. Lo stessa non-violenza, messa al servizio di un progetto confessionale e reazionario, ha suscitato un gigantesco dramma umano.

L’originalità di Gene Sharp è di avere ripreso la non-violenza di Gandhi, ma anche quella di Henry David Thoreau, di Martin Luther King e di altri ancora, e di inserirlo su un piano militare e politico. È giunto alla conclusione che la non-violenza è una tecnica di combattimento come un’altra, che può essere messa al servizio degli obiettivi più diversi. È sempre stato attento nel tenersi alla larga delle divergenze tra i politicanti, per sottolineare che la sua tecnica può essere adottata da qualsiasi corrente politica. Il suo lavoro ha interessato la NATO, nel progettare una resistenza civile di fronte ai sovietici e la NED/CIA per organizzare delle pseudo-rivoluzioni.

Per difendere l’Albert Einstein Institution, Stephen Zunes cancella via tutte le informazioni disponibili sul cursus dei suoi responsabili e le loro attività che sono state rivelate da Eva Golinger e da me stesso. Oppone allora la credibilità di Gene Sharp, guru di numerosi ecologi, femministe e sindicalisti, alla nostra. Mi qualifica, a torto, come “marxista”, per spaventare il borghese statunitense, afferma che i miei “errori” e quelli della dott.ssa Golinger sarebbero imputabili, allo stesso tempo, ad un effetto ottico ed al nostro pensiero “razzista”. Da un lato, perché l’amministrazione Bush raccomanda aggressivamente dei “cambiamenti di regime”, che i nostri spiriti deboli sospetterebbero dei militanti dei diritti dell’uomo, che desiderano sovvertire le dittature, di essere agenti dell’imperialismo USA. D’altra parte, è animato del razzismo e dell’arroganza occidentale, ché saremmo incapaci di riconoscere la capacità dei popoli del terzo mondo nel condurre azioni politiche e che immagineremmo una manipolazione dietro ogni evento. Non una possibilità!

Eva Golinger è certamente statunitense, ma vive a Caracas ed è bolivariana; io stesso sono certamente francese, ma vivo tra Damasco e Beyrouth e sono radicale. Il bolivarismo ed il radicalismo sono movimenti politici derivati dalla filosofia dei lumi, il primo si è sviluppato nelle Ande contro l’imperialismo spagnola e la schiavitù, il secondo in Francia contro la monarchia e il clericalismo. Nulla a vedere con il marxismo-leninismo, né l’occidento-centrismo. D’altra parte, non troviamo offensivo essere definiti “marxista”.
Stephen Zunes prosegue qualificandoci come “cospirazionisti”, termine peggiorativo, che designa nel gergo atlantista ogni dissidente, particolarmente coloro che non credono al crollo mimetico della Torre n°7 del World Trade Center ed alla smaterializzazione di un aereo nel Pentagono delle Bermude.

“È dunque inquietante che tante fonti d’informazione progressiste abbiano diffuso tali errori così ampiamente, e che tanta gente gli abbia creduto, particolarmente in base alla mancanza palese di elementi solidi per sostenere le loro accuse. Le minor parte di questi articoli (che criticano Sharp) che contengono citazioni utilizza semplicemente fonti screditate da tempo come Meyssan e Golinger”, concludono.

La petizione del professore Zunes si iscrive nel contesto della prossima elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Quest’ultimo avrà l’incarico pesante di cambiare l’immagine dell’impero statunitense per garantire la sua perennità. I principali strateghi US adottano un discorso pubblico di denunzia degli aspetti visibili che più colpiscono della politica attuale e chiamano ad una correzione del sistema per salvarlo. Così, l’ex segretario di Stato repubblicano James Baker o l’ex consigliere nazionale alla sicurezza, il democratico Zbigniew Brzezinski, denunciano le guerre di George W. Bush e l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, o richiedono la chiusura del campo di Guantanamo. Queste posizioni non hanno dunque nulla di contestatario. Sono evidenti per tutti, fino al vertice dell’estabishment imperiale.

La Commissione bipartisan Armitage-Nye ha elaborato un accordo tra repubblicani e democratici affinché il prossimo presidente, qualunque esso sia, cioè più di un diplomatico-in-capo o di un comandante-in-capo, e che privilegia azioni esterne tipo “rivoluzioni colorate” ad interventi militari. Questo rinnovo della strategia statunitense, ormai basata “sul potere intelligente” (smart power) e neppure sulla forza brutale, corrisponde ad un’oscillazione identica nell’ambito del movimento sionista.

Il gruppo della rivista neo-conservatrice Commentary di John Podhoretz si cancella temporaneamente a profitto di quella della rivista progressista Tikkun del rabbino Michael Lerner. La nuova punta di diamante del sionismo si è data come obiettivo spiritualizzare la sinistra statunitense, come Commentary ha fatta con la destra. Tikkun fa campagna perché Barack Obama proponga un Piano Marshall globale, sul modello di ciò che fecero la CIA ed il dipartimento di Stato nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale per vassallizzare l’Europa occidentale. Milita per “la giustizia sociale per i palestinesi e la sicurezza di Israele” (e non l’inverso), nega la situazione di segregazione di cui sono vittime i cittadini israeliani musulmani e cristiani, come pure il diritto al ritorno dei deportati. Tikkun chiama i dirigenti palestinesi ad abbandonare il terrorismo per la non violenza. Afferma che l’occupazione israeliana non potrà avere fine finché gli Israeliani non avranno garanzie per la loro sicurezza e che “i palestinesi non avranno dato prova che riconoscono gli Israeliani come creati a immagine di dio”.

Il professore di scienze politiche all’università di San Francisco e specialista del Medio Oriente, Stephen Zunes è l’autore di Tinderbox : U.S. Foreign Policy and the Roots of Terrorism (la polveriera: la politica estera statunitense e le radici del terrorismo). Vi promuove l’idea che è il sostegno degli Stati Uniti ai regimi autorevoli del Medio Oriente che produce in reazione il terrorismo anti-USA. Gli Stati Uniti non sarebbero dunque odiati a causa dei loro valori, ma perché i loro dirigenti li ridicolizzano sostenendo cinicamente dei dittatori. Quest’argomento è caratteristico della propaganda di relifting dell’impero. Occulta il finanziamento comune dei principali gruppi “islamismi” da parte di Riad e Washington per rispondere ai movimenti rivoluzionari, laici o religiosi. Assolve, allo stesso tempo, i dirigenti statunitensi ed il loro popolo dai crimini commessi, poiché i primi avrebbero tradito gli ideali che i secondi non hanno mai messo in pratica. Simultaneamente, demonizza allo stesso tempo i dirigenti ed i popoli arabi, i primi come dittatori ed i secondi come terroristi.

Nei suoi lavori, Stephen Zunes – come il suo amico Noam Chomsky [7] – s’impegna a presentare Israele come vittima dei diktat US e come non responsabili della situazione in Palestina. La petizione di Stephen Zunes ci comunica una cosa: alcune figure intellettuali della sinistra statunitense si spacciano per anti-imperialiste, ma difendono il sistema quando lo sporco lavoro è fatto con discrezione. A questo proposito, non è indifferente che il sig. Zunes ed i suoi assistenti difendano i miti dell’impero, gli pseudo-“valori americani” e il fantasma del complotto islamico mondiale.

[1« L’Albert Einstein Institution : la non-violence version CIA », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 jqnvier 2005.

[3Voir « Responses to Attacks », sur le site de l’Albert Einstein Institution.

[4Bush vs. Chavez. La guerra de Washington contra Venezuela, Eva Golinger, Monte Avila, 2006.

[5« Sharp Attack Unwarranted », par Stephen Zunes, Foreign Policy in Focus, 28 juin 2008. Pétition : « Open Letter in Support of Gene Sharp and Strategic Nonviolent Action ».

[6« Making Excuses for Empire: Reply to Defenders of the AEI », par George Ciccariello-Maher et Eva Golinger, Venezuela Analysis, 4 août 2008.