In un mese, il re Hamad ibn Isa Al Khalifa del Bahrain ha lanciato una feroce campagna di repressione contro i suoi sudditi.

Oltre l’80% della popolazione adulta ha partecipato ai movimenti di protesta pacifici della primavera, chiedendo una monarchia costituzionale.

• Washington temeva che il risveglio nazionalista mettesse in discussione la concessione di Juffair, un porto che ospita la Quinta Flotta US e il comando navale del CentCom.
• Parigi teme una rivoluzione che metta in discussione gli accordi sulla difesa firmati recentemente col regno.
• Londra ritiene che una qualsiasi perdita di potere del monarca sia in realtà una perdita di influenza in questa ex colonia, che ha una finta indipendenza dal 1971.
• Riyadh teme che qualunque sviluppo democratico o sociale nel suo micro-vicino sollevi un simile movimento di protesta in Arabia Saudita.

Pertanto, il 13 marzo il re ha ricevuto il Segretario della Difesa USA Robert Gates e, sotto il suo controllo, ha lanciato un appello alle truppe saudite.

Dalla loro entrata, 25 moschee sono state completamente distrutte (compresa la storica moschea di Amir Muhammad), e 253 altre danneggiate.

La tecnica scelta è quella di trasformare la rivoluzione popolare della "primavera araba", opponendo al desiderio della popolazione per la democrazia una monarchia assoluta, in un conflitto fra sunniti e sciiti.

Non è noto il numero esatto delle vittime della repressione, ma più di 250 persone sono scomparse. La tortura è ancora una pratica sistematica. I soldati sono entrati negli ospedali e arrestato i medici e gli infermieri sunniti che hanno curato i feriti sciiti.

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(Foto: un veicolo blindato mantiene l’ordine coloniale in Bahrain. É decorato col ritratto di Khalifa bin Salman al-Khalifa, che era già primo ministro nell’era britannica, ed è rimasto immobile in tale carica nella finta indipendenza.)

Traduzione di Alessandro Lattanzio