La questione dell’uso del gas sarin da parte delle truppe regolari siriane somiglia a un gioco truccato. Interpellato su questo argomento, il portavoce del ministero degli Esteri siriano, Jihad Makdisi, dichiarò, il 23 luglio 2012, che il suo paese poteva anche disporne e farne uso esclusivamente contro dei nemici esterni. Questa dichiarazione è stata interpretata dalla stampa degli Stati membri della NATO e del CCG come una minaccia contro i «ribelli», nella misura in cui Damasco afferma che essi siano - come fu un tempo in Nicaragua - dei «Contras» in gran parte stranieri. Designava, infatti, e senza possibili contestazioni, sia i paesi membri della NATO sia Israele. Il portavoce era stato molto chiaro sul fatto che nessun’arma di questo tipo sarebbe stata utilizzata contro degli «insorti» siriani.

Indipendentemente da ciò, i propositi di Jihad Makdisi erano troppo buoni per una NATO che, nel 2003, non aveva esitato a inventare «armi di distruzione di massa» irachene. Per due volte, il 20 agosto e il 3 dicembre 2012, il presidente Barack Obama mise in guardia la Siria contro il ricorso alle armi chimiche. «Se iniziassimo a vedere certe quantità di armi chimiche dispiegate o utilizzate, ciò cambierebbe il mio calcolo e la mia equazione», dichiarava, tanto per cominciare. E aggiungeva: «Voglio essere assolutamente chiaro con Assad e con quelli che sottostanno al suo comando: il mondo vi guarda, l’uso di armi chimiche è e sarà considerato del tutto inaccettabile. Se fate il tragico errore di utilizzare queste armi chimiche, ci saranno conseguenze e ne risponderete».

I falchi liberali e i neoconservatori fanno quindi una campagna per un intervento militare occidentale. Secondo loro, la Siria avrebbe sperimentato una «primavera araba» brutalmente repressa da un «dittatore». La comunità internazionale dovrebbe intervenire in nome dei grandi ideali. Ovviamente non una parola sugli anni di preparazione e di finanziamento di questa «primavera araba» da parte della NATO e del CCG, per appropriarsi degli idrocarburi siriani e imporre un regime sionista islamista. Così, la professoressa Anne-Marie Slaughter, ex direttrice della pianificazione con Hillary Clinton (2009-2011), paragona sulle colonne del Washington Post il lasciar fare di Obama in Siria al caso ruandese [1].

Nel 2003, la prova delle «armi di distruzione di massa» irachene provenne da un testimone a sorpresa. Mentre il capo della missione degli ispettori delle Nazioni Unite, Hans Blix, conferma davanti al Consiglio di sicurezza che tali armi non esistono più in Iraq dal 1991, Hussain al-Shahristani, uno scienziato in esilio, espone una testimonianza che dà ragione al Segretario di Stato Colin Powell: Saddam Hussein possiede armi chimiche, batteriologiche e nucleari. Le sue parole sono confermate dall’Istituto Internazionale di Studi Strategici (IISS) di Londra. Nessuna delle sue affermazioni resisterà alla prova dei fatti. Una volta che l’Iraq sarà invaso, saccheggiato e distrutto, Washington ammetterà di aver sbagliato, intanto che il suo falso testimone diventerà Vice Primo Ministro dell’Iraq «liberato» mentre l’IISS continua le sue perorazioni.

Questa volta, il lavoro di intossicazione è da attribuire a Francia e Regno Unito. Le due potenze coloniali che si erano spartite il Medio Oriente nel 1916 spingono a un intervento militare occidentale, nonostante i tre veti russi e cinesi. Il 27 maggio, alla vigilia di un incontro cruciale dei ministri dell’UE sulla possibile fornitura di armi ai «ribelli», Le Monde ha pubblicato un’inchiesta di Jean-Philippe Rémy attestante l’uso di gas sarin a Damasco. Il giornalista ha dato conto dei campioni di sangue e urine che sono stati testati da un laboratorio militare francese. Il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, reagisce come un orologio, seguito dal governo britannico che denuncia un «crimine di guerra». In definitiva, secondo la Casa Bianca: «La nostra comunità di intelligence conferma che il regime di Assad ha usato armi chimiche, compreso il gas sarin, su piccola scala, contro l’opposizione più volte durante lo scorso anno».

Il problema è che non ci sono problemi: in primo luogo, l’uso di gas sarin è stato vietato nel 2007 dalla Convenzione sulle armi chimiche che non è stata ratificata né da Israele, né dalla Siria [2]. Di fatto, questi due stati possono fabbricarne, detenerne e farne uso legalmente senza commettere «crimini di guerra». In secondo luogo, l’uso di gas sarin da parte delle truppe regolari, benché confermato da Parigi, Londra e Washington, rimane altamente improbabile. Il caso riportato da Le Monde può solo sorprendere: l’esercito arabo siriano ne avrebbe fatto uso a Damasco, nel quartiere di Jobar, senza che il gas attraversasse la strada e raggiungesse la popolazione civile dal resto della capitale. I combattenti colpiti non soffrivano di crisi epilettiche, il che indicherebbe una debolissima disseminazione. Si curerebbero con fialette di atropina, ma anche con trattamenti locali, specie collirio, che apparirebbe inutile per un gas che penetra attraverso la pelle. In breve, le prove franco-anglo-statunitensi non resisteranno probabilmente di più all’esame dei fatti di quelle accumulate da George W. Bush e Tony Blair contro l’Iraq.

Nei casi in cui l’uso di gas sarin venisse considerato un abominio tale da richiedere una risposta internazionale, c’è ben da domandarsi perché mai le accuse di Carla del Ponte, membro della Commissione d’inchiesta dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, non abbiano suscitato le stesse reazioni. Ella ha dichiarato, il 5 maggio 2013, alla televisione svizzera: «Nel corso della nostra indagine la nostra squadra investigativa ha interrogato nei paesi vicini le varie vittime nonché i medici negli ospedali da campo ivi dispiegati, e ho letto la settimana scorsa in un rapporto che vi sono degli indizi concreti, anche se non sono stati ancora provati in modo inconfutabile, che è stato utilizzato del sarin. Lo si può dedurre dal modo in cui le vittime sono state trattate. Ed è stato usato dagli oppositori, ossia dai ribelli, e non dal governo». Le osservazioni della magistrata semplicemente confermavano quanto rivendicato dall’Esercito siriano libero il quale, il 5 dicembre 2012, mostrava dei penosi tentativi di dotarsi di armi chimiche e minacciava gli alauiti di farne uso contro di loro [3]. Tuttavia, non vi è stata alcuna reazione, vista la sferzante smentita apportata dalla sua stessa Commissione, alla domanda dell’Alto Commissario, Navy Pilai. In assenza di consegne politiche, le parole dell’ex procuratrice elvetica impegnavano soltanto lei.

Una volta ammesso l’uso di sarin da parte dell’esercito regolare, la Casa Bianca dispone di un argomento per legalizzare quel che ha già fatto fin dall’inizio del conflitto: fornire armi ai «Contras» [4].

Precipitandosi sulla breccia, il generale Salim Idriss, comandante in capo dell’Esercito siriano libero, ha ordinato razzi anticarro e missili terra-aria. Possono essere utili, ma non decisivi, perché ciò di cui il suo "esercito" ha bisogno, sono gli uomini molto più che i materiali. Tuttavia, le consegne degli Stati Uniti dovrebbero essere limitate ad armi leggere e munizioni: la guerra volge al termine. Washington non spera più di conquistare la Siria, bensì soltanto di fare liquidare Il Fronte al-Nosra da parte dell’ESL. Coloro che hanno creduto nelle sue promesse ne faranno le spese. La Turchia è paralizzata da una rivolta contro i Fratelli musulmani, incarnati da Recep Tayyip Erdoğan, mentre Washington ha appena costretto l’emiro Hamad Al-Thani a cedere il trono del Qatar a suo figlio Tamim. I tempi della nuova suddivisione del Medio Oriente, tra russi e statunitensi, si avvicina.

Traduzione
Matzu Yagi
Fonte
Megachip-Globalist (Italia)

[1«Obama should remember Rwanda as he weighsaction in Syria», di Anne-Marie Slaughter, The Washington Post, 26 aprile 2013.

[2Cfr. il sito ufficiale dell’OPWC.

[3«L’ELS mostra il suolaboratorio di armi chimiche», Rete Voltaire, 5 dicembre 2012.

[4«Exclusive: Obama authorizes secret U.S.support for Syrian rebels », di Mark Hosenball, Reuters, 1 agosto 2012.