Si apre oggi a Newport nel Galles il Summit dei capi di stato e di governo dei 28 stati della Nato, che prenderà «decisioni chiave su come affrontare le attuali e future sfide alla sicurezza», attribuite alla «aggressione militare della Russia contro l’Ucraina» e alla «crescita dell’estremismo e della conflittualità settaria in Medio Oriente e Nord Africa». Un Summit «cruciale», attraverso cui gli Stati uniti, che conservano l’indiscussa leadership nella Nato, mobilitano gli alleati europei contemporaneamente su due fronti di guerra.

In Europa, in poco più di sei mesi, è saltata la «distensione» e si è ritornati a una situazione per certi versi più pericolosa di quella della guerra fredda. Come è potuto accadere?

Per capirlo, occorre riandare al momento in cui, nel 1991, la scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea nella regione europea una situazione geopolitica interamente nuova. Gli Stati uniti, rimasti l’unica superpotenza, cercano di trarne il massimo vantaggio, varando una nuova strategia in cui dichiarano «di fondamentale importanza preservare la Nato quale canale dell’influenza statunitense negli affari della sicurezza europea». A tal fine occorre «impedire la creazione di dispositivi di sicurezza unicamente europei, che minerebbero la Nato» (Defense Planning Guidance).

Contemporaneamente, mentre usano la Nato per mantenere la loro leadership sull’Europa occidentale, gli Usa se ne servono per andare alla conquista di quella orientale. Demolita con la guerra la Jugoslavia, la Nato si estende a est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss. Entrando nella Nato, i paesi dell’Est vengono a dipendere più da Washington che da BruxelIes.

Qualcosa però in-ceppa il piano di conquista: contrariariamente a quanto previsto, la Federazione russa si riprende in gran parte dalla crisi del dopo guerra fredda, stringe crescenti relazioni economiche con l’Unione europea, fornendole il grosso del gas naturale, e apre nuovi sbocchi commerciali con la Cina e altri paesi asiatici. Ciò mette in pericolo gli interessi strategici statunitensi.

È a questo punto che scoppia la crisi in Ucraina: dopo aver assunto con un lavoro di anni il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrato i gruppi neonazisti, la Nato promuove il putch di Kiev. Costringe così Mosca a muoversi in difesa dei russi di Ucraina, esponendosi alle sanzioni: una lama a doppio taglio, in quanto le controsanzioni russe danneggiano l’Unione europea, facilitando il piano della partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti attraverso cui Washington cerca di accrescere l’influenza statunitense sulla Ue.

Contemporaneamente, sotto guida Usa, la Nato estende la sua strategia al Nord Africa e Medio Oriente, e oltre fin sulle montagne afghane e nella regione Asia/Pacifico. L’obiettivo strategico resta quello enunciato nella Defense Planning Guidance: «Il nostro primo obiettivo è impedire che qualsiasi potenza domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale». Oggi soprattutto in Asia, dove —sulla scia degli accordi russo-cinesi, che vanificano le sanzioni occidentali contro la Russia aprendole nuovi sbocchi a est— si prefigura la possibilità di una unione eurasiatica in grado di controbilanciare quella Usa-Ue. La demolizione della Libia con la guerra, l’analoga operazione lanciata in Siria, il rilancio della guerra in Iraq, l’uso a doppio taglio di formazioni islamiche (sostenute per abbattere i governi presi di mira, usate quindi per giustificare altri interventi armati) rientrano nella strategia Usa/Nato.

Dove ci porta tutto questo? In altre guerre, in scenari sempre più pericolosi di confronto tra potenze nucleari. In una accelerazione della corsa agli armamenti e, di conseguenza, della spesa militare. Uno dei punti all’ordine del giorno del Summit è quello che i paesi della Nato debbano «spendere la giusta quantità di denaro per dotarsi di forze a spiegamento rapido, migliore addestramento e armamenti moderni». Si prospetta dunque un aumento della spesa militare: quella italiana, secondo i dati ufficiali della Nato, ammonta a 56 milioni di euro al giorno, più la spesa per le missioni militari all’estero e altri stanziamenti extra-budget, che secondo il Sipri portano la spesa militare effettiva dell’Italia a quasi 70 milioni di euro al giorno.

Fonte
Il Manifesto (Italia)