Le 3 svalutazioni dello yuan, tra il 10 e il 12 agosto, hanno implicazioni importanti per l’economia mondiale e l’equilibrio geopolitico dell’Asia-Pacifico [1]. Il surplus commerciale “relativamente grande” mantiene “relativamente forte” un cambio efficace che, però, non è “del tutto coerente con le aspettative del mercato”, afferma la Banca popolare di Cina in una dichiarazione. C’è panico tra gli investitori nei mercati finanziari negli ultimi giorni. Il cambio arriva a 6,3306 yuan per dollaro, una svalutazione non oltre il 5%.

Comunque la Cina mostra interesse a far aderire lo yuan ai diritti speciali di prelievo [2], il paniere di valute lanciato dal Fondo monetario internazionale (FMI) nel 1969, ed è chiaro che il valore della moneta dovrebbe rimanere stabile, essendo uno dei requisiti che le valute di riserva globale devono soddisfare (non nel caso del dollaro sceso dal 70 al 60% in proporzione alle riserve valutarie delle banche centrali, tra il 1999 e il 2014) [3].

La campagna mediatica contro lo yuan

Tuttavia, gran parte della stampa occidentale non ha esitato a sostenere che la svalutazione della “moneta del popolo” (‘RMB’) miri a sostenere l’economia d’esportazione in modo brusco. Donald Trump, candidato presidenziale del partito repubblicano, s’è lanciato contro le misure adottate dalla banca centrale: un tentativo cinese di “distruggere” le industrie degli USA.

Tale campagna mediatica contro la Cina non è nuova. Per anni Washington ha accusato Pechino di manipolare il tasso di cambio. Tuttavia, la verità è che lo yuan non s’è deprezzato in modo “artificiale”, ma piuttosto s’è apprezzato nei confronti della valuta statunitense. Dal 2005 (quando il regime di cambio era più flessibile) ad oggi, la valuta cinese s’è apprezzata di circa il 30% nei confronti del dollaro, quindi è solamente esagerato sostenere che la svalutazione dello yuan, del 4,6%, nella seconda settimana agosto sia il principale responsabile del crollo dell’economia degli Stati Uniti.

E’ vero che merci a basso costo prodotte in Cina sono vendute agli statunitensi come mai prima. Tuttavia, dato che posti di lavoro ben retribuiti non esistono negli Stati Uniti da decenni, famiglie e imprese sono più preoccupate a risolvere i loro debiti che a porsi domande sull’origine dei prodotti a basso costo che acquistano quotidianamente nei supermercati.

Tuttavia, il governo degli Stati Uniti insiste nel screditare le politiche della Banca di Cina. Niente di strano, le banche centrali non sono note per i compromessi. La storia dimostra che in tempi di crisi e recessione globale, le istituzioni responsabili della politica monetaria agiscono unilateralmente per sostenere le proprie economie.

La Federal Reserve degli Stati Uniti è di gran lunga il caso più illustre. Senza consultarsi con altre banche centrali, senza assoggettarsi alla volontà del Congresso, l’ex-presidente Ben S. Bernanke annunciò nel dicembre 2013 la riduzione del programma d’iniezione di liquidità (‘quantitative easing’). La mossa precipitò il crollo dei mercati azionari e dei tassi di cambio delle economie emergenti.

Un anno dopo, la nuova presidentessa della Federal Reserve, Janet Yellen, annunciava la decisione di aumentare il tasso d’interesse dei fondi federali per il 2015. Anche se Yellen non contrasse il credito (‘tightening’), le valute di tutto il mondo accelerarono la debacle degli ultimi mesi.

Tale situazione ha indotto Banca centrale europea (BCE), Banca d’Inghilterra e Banca del Giappone a lanciare programmi d’iniezione simili a quelli della Federal Reserve, con l’obiettivo di limitare l’aumento del dollaro verso la loro valute. Invece, la Banca popolare di Cina non fece alcuna azione straordinaria lasciando lo yuan molto stabile. Perché?

In pratica, la valuta cinese resta in gran parte legata alle quotazioni del dollaro. Così, mentre tra la metà del 2014 e l’inizio del 2015 il dollaro si è apprezzato del 15-20% sulle valute più scambiate al mondo (euro, sterlina, yen, ecc.), solo lo 0,6% fu osservato con lo yuan [4].

Il gioco cinese con diverse palle

Tuttavia, gli ostacoli che la Cina deve superare non sono pochi [5]. Per diversi anni il governo cinese ha attuato una serie di “riforme strutturali” affinché l’economia passasse dal modello di accumulazione massiccia a uno che favorisce l’espansione degli investimenti sul mercato interno.

L’obiettivo a lungo termine del Partito comunista cinese è aumentare il consumo degli abitanti (crescente potere d’acquisto attraverso i salari) e diminuire la centralità del risparmio. Questo spostamento è diventato più urgente che mai con la contrazione degli investimenti d’impresa e il crollo della domanda estera.

Il mese scorso le esportazioni della Cina si sono ridotte dell’8,3% in termini annui, mentre le importazioni dell’8,1%. Mantenendo l’involuzione in sincronia con l’estrema debolezza del commercio mondiale, il cui tasso di crescita è al livello minimo degli ultimi 20 anni [6].

“Nonostante un tasso ancora più elevato, la crescita del PIL della Cina è rallentata; la svalutazione, anche se non può essere definita radicale, invertirebbe tale tendenza”, ha detto Paulo Nogueira Batista, Vicepresidente della banca di sviluppo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), in un’intervista con l’agenzia Sputnik [7].

Tuttavia, va notato che le società cinesi hanno esportato quasi il 60% della produzione verso i Paesi industrializzati, secondo le stime di Jonathan Anderson, dell’Emerging Advisors Group [8]. Dato che i Paesi del G7 (Germania, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone e Regno Unito) sono quasi immersi da stagnazione e deflazione (diminuzione dei prezzi), rivitalizzare l’economia cinese tramite l’esportazione sarà molto complicato.

D’altra parte, il settore immobiliare comincia a risentire degli effetti del sovrainvestimento. Le agenzie immobiliari non trovano più abbastanza clienti nel mercato cinese. Il calo delle vendite non può aumentare gli investimenti. Di conseguenza, le aziende impegnate nella produzione di materiali da costruzione (acciaio, cemento, legno, vetro, ecc.) ne sono anche gravemente danneggiate, a causa degli stretti legami con il settore immobiliare [9].

Le azioni della banca centrale per gestire il rallentamento dell’economia sono molteplici e non limitate alla svalutazione della moneta. Durante l’ultimo anno, la Banca popolare di Cina ha abbassato il tasso d’interesse di riferimento e i requisiti patrimoniali del sistema bancario in modo da rilanciare i prestiti alle attività produttive. La Cina ha anche lanciato un piano di stimolo fiscale i cui costi sono stimati il 12% del PIL.

Il governo cinese gioca con più palle [10]. I cinesi cercando di passare da un’economia focalizzata sui massicci investimenti a una trainata dai consumi senza sacrificare la crescita economica; cercano di frenare la speculazione nel settore immobiliare e sui titoli azionari (azioni, materie prime, ecc.), ma senza tagliare il credito all’industria; aspirano alla leadership nel settore finanziario, ma sono preoccupati dalla volatilità finanziaria imposta dal mercato globale dei capitali. Il governo cinese saprà adempiere a questa impresa?

Il rischio di deflazione globale

La sfida non è da poco. Le autorità di Pechino appaiono sempre più preoccupate dalle prospettive globali. L’economia mondiale accelera la transizione verso la deflazione (caduta dei prezzi). Non si tratta più solo della debolezza dei prezzi delle materie prime (‘commodities’) e della stagnazione economica deflazionistica in Paesi come il Giappone, che ne soffre dal 1990.

La crisi deflazionistica in Grecia s’è consolidata e minaccia di diffondersi in gran parte delle economie della periferia europea. Secondo i dati pubblicati da ELSTAT, l’inflazione in Grecia è scesa al 2,2% annuo, il mese scorso. Così, la deflazione si è accumulata per 29 mesi consecutivi nella nazione ellenica [11].

Dopo che la troika (composta da Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione europea) ha imposto ad Atene un nuovo piano di salvataggio che promuove la politiche di austerità, è chiaro che la deflazione avrà alla fine maggiore slancio e, quindi, diverrà una minaccia letale per la Germania, il socio commerciale della Cina.

In breve, Pechino non risparmia sforzi per ricacciare le tendenze recessive che si avvicinano poco a poco alla propria economia, e che tra l’altro colgono di sorpresa sempre più Paesi: da Germania, Francia e Regno Unito, a Canada, Messico e Sud America (Argentina, Brasile, Venezuela, ecc.).

Washington punta i missili su Pechino

Il contesto economico regionale non è esente da focolai deflazionistici [12]
. L’indebolimento dello yuan non è ben visto dai Paesi limitrofi della Cina [13]. Le valute di Corea del Sud, Indonesia, Malesia, Singapore e Thailandia hanno toccato i minimi storici dopo la svalutazione del ‘renminbi’, e allo stesso tempo le borse hanno chiuso con perdite comprese tra 0,5 e 1,5%.

Se le banche centrali dell’Asia-Pacifico sono tentate dall’intraprendere la corsa alla svalutazione, volta ad “impoverire il vicino” (“beggar-they-neighbor‘) [14], i riusciti appelli della Cina per attivare Banca Asiatica per gli Investimenti Infrastrutturali (‘Infrastrutture Asian Investment Bank‘), Fondo per la Via della Seta (‘Silk Road Fund’) e Zona di libero scambio del Pacifico (‘Area di libero scambio dell’Asia-Pacifico’) sarebbero gravemente minacciati.

Al contrario, le società statunitensi non perdono occasione per cercare il sostegno da diversi leader asiatici per ampliare l’adozione dell’accordo di Partnership Trans-Pacifica [15]. Il Pentagono, nel frattempo, si propone di rilanciare la dottrina del perno contro la Cina, con il sostegno militare del Giappone.

Non c’è dubbio che sia un piano astuto degli Stati Uniti minare la crescente influenza della Cina nella regione Asia-Pacifico. Nell’offensiva imperiale statunitense, il governo cinese deve rimanere vigile e soprattutto tener conto delle lezioni del Generale Sun Tzu (autore de “L’arte della guerra’): per sconfiggere il nemico senza combattere.

La svalutazione dello yuan ha evidenziato che i prossimi mesi saranno decisivi nel consolidare la crescita della Cina a potenza mondiale. Solo il tempo potrà infine rivelare se sia possibile risolvere le contraddizioni economiche interne senza mettere a repentaglio la coesione regionale. La moneta cinese è nell’aria…

Traduzione
Alessandro Lattanzio
(Sito Aurora)
Fonte
Russia Today (Russia)

[1«Un mapa muestra el impacto global de la devaluación del yuan», Russia Today, 18 de agosto de 2015.

[2Assegnare allo yuan i diritti speciali di prelievo”, di Ariel Noyola Rodríguez, Traduzione Alessandro Lattanzio, Russia Today (Russia), Rete Voltaire, 3 aprile 2015.

[3«Get ready for yuan in IMF basket», Mike Bastin, China Daily, August 17, 2015.

[4«China’s exchange-rate policy: Currency peace», The Economist, February 21, 2015.

[5«Five reasons to be worried about the Chinese economy», Larry Elliott, The Guardian, August 14, 2015.

[6«World shipping slump deepens as China retreats», Ambrose Evans-Pritchard, The Telegraph, August 17, 2015.

[8«China, the Fed and emerging markets: Yuan thing after another», The Economist, August 13, 2015.

[9«Devaluation Hints at China’s Rising Distress Over Economy», Neil Gough, The New York Times, August 12, 2015.

[10«Markets and economics: The curious case of China’s currency», The Economist, August 11, 2015.

[12«China’s currency devaluation could spark ’tidal wave of deflation’», Heather Stewart, The Guardian, August 12, 2015.

[13«Renminbi fallout threatens Asian neighbours», Steve Johnson, The Financial Times, August 14, 2015.

[14«China’s Renminbi Devaluation May Initiate New Phase in Global Currency War», Peter Eavis, The New York Times, August 13, 2015.

[15«Currency Devaluation Shows the High Cost of China’s Soft Power», David Francis, Foreign Policy, August 11, 2015.