Una delle più grandi operazioni di soccorso della storia potrebbe essere molto simile a quella fatta dopo lo tsunami del 2004, tranne che il modello di ricostruzione adottato è radicalmente diverso. Haiti è stata parzialmente distrutta in seguito ad un terremoto di magnitudo 7. Tutto il mondo la compiange e i mezzi di comunicazione, offrendo immagini apocalittiche, continuano a riproporci modi e maniere in cui i generosi Stati si prodigheranno. Ci viene detto che bisogna ricostruire Haiti, quel paese vinto dalla miseria e dalla “catastrofe”. Ci ricordano impetuosamente che è uno dei Paesi più poveri del mondo, ma senza spiegarci il motivo di tutto ciò. Ci lasciano credere che questa povertà è un fatto irrimediabile, senza motivo plausibile: “Sono colpiti dalla sfortuna”.
E’ fuor di dubbio che quest’ultima catastrofe naturale ha causato danni umani e materiali tanto enormi quanto inaspettati. Siamo tutti d’accordo nell’ affermare che misure d’aiuto urgenti siano d’obbligo. Tuttavia la povertà e la miseria che contraddistinguono questo Paese non sono dovuti a questo terribile terremoto. Bisogna ricostruire il Paese perché già prima era stato privato dai mezzi necessari per farlo. Haiti non è un paese né libero né sovrano.
Negli ultimi anni la sua politica interna è guidata da un governo costantemente sotto pressione da influssi esterni e manovrata da gruppi di potere locali.
Haiti è stata tradizionalmente denigrata e spesso descritta, nel migliore dei casi, come un paese violento, povero e repressivo. Non ci sono note che ci ricordino la conquista dell’indipendenza avvenuta nel 1804 dopo una crudele lotta contro le truppe napoleoniche. Anziché sottolineare il profilo umanitario e la lotta per i diritti umani, saranno la barbarie e la violenza le caratteristiche attribuite agli haitiani. Eduardo Galeano parla della “maledizione bianca”: “Al confine di stato, dove finisce la Repubblica Dominicana ed inizia Haiti troviamo un grande cartello che avverte: ’Il varco maledetto. Dall’altra parte troverete l’inferno. Sangue e fame, miseria e pestilenze’” [1]
È essenziale ricordare la lotta di liberazione condotta dal popolo haitiano, perché in rappresaglia a questa doppia rivoluzione, anti-schiavista ed anti-coloniale, il paese ebbe ad affrontare "il salvataggio francese di indipendenza”, corrispondente a 150 milioni di franchi in oro (ovvero il bilancio annuale della Francia all’epoca). Nel 1825, la Francia decise che "gli attuali abitanti della parte francese di Santo Domingo versassero alla cassa federale erariale della Francia, anno dopo anno in cinque rate annue, il primo a scadenza 31 dicembre 1825, la somma di centocinquanta milioni di franchi, come riscatto d’indennizzo agli antichi coloni che chiedevano un risarcimento” [2]. Oggi si parlerebbe di 21.000 milioni di dollari. E cosi che dall’inizio della sua indipendenza Haiti parte con un debito molto alto, debito che sarebbe lo strumento neocoloniale per facilitare l’accesso alle numerose risorse naturali del paese.
Il pagamento del riscatto è stato quindi un elemento fondante dello Stato haitiano. In termini giuridici ciò significa che esso è stato contratto da un regime dispotico e usato contro gli interessi della popolazione. La Francia e poi gli Stati Uniti, la cui area di influenza si consolida ad Haiti dal 1915, sono interamente responsabili. Anche se sarebbe stato possibile affrontare le dolorose responsabilità del passato nel 2004, la Commissione Régis Debray [3], scelse di scartare l’idea di una restituzione della somma, sostenendo che era "priva di fondamento giuridico” e che avrebbe potuto aprire un "vaso di Pandora”. Le richieste del governo di Haiti furono respinte dalla Francia: non c’è posto per le riparazioni. La Francia non ha riconosciuto il suo ruolo nel dono infame che fece al dittatore "baby doc" Duvalier [Jean-Claude Duvalier, figlio di Francois Duvalier,”papa doc”] nel suo esilio, offrendogli l’immunità e lo status di rifugiato politico.
Il regno dei Duvalier iniziò nel 1957 con l’aiuto degli Stati Uniti, e finì nel 1986 quando il figlio “baby doc” fu rovesciato da una rivolta popolare. La violenta dittatura, ampiamente sostenuta dall’Occidente, governò per quasi 30 anni ed è stata caratterizzata da una crescita esponenziale del debito. Tra il 1957 e il 1986, il debito estero aumentò del 17,5%. Al momento della fuga di Duvalier, ammontava a 750 milioni di dollari. Successivamente aumentato, con gli interessi e le sanzioni, arrivò a più di 1.884 milioni di dollari [4]. Questo debito, lungi dal servire per la popolazione, che continuò a impoverirsi, aveva lo scopo di arricchire il regime. Quindi si tratta di un debito abbietto. Recenti ricerche hanno dimostrato che le fortune personali della famiglia Duvalier (ben protette in conti bancari occidentali) ammontavano a circa 900 milioni di dollari, ovvero un importo superiore al debito totale del paese al momento della fuga di “Baby Doc “. Vi è un processo in corso presso la giustizia svizzera per la restituzione allo Stato haitiano dei beni mal amministrati durante la dittatura dei Duvalier. Tali beni sono però, attualmente, congelati dalla banca svizzera UBS, che impone condizioni intollerabili per la restituzione di quei fondi [5]. Jean Baptiste Aristide, in un primo momento eletto con molto entusiasmo dal popolo, fu in un secondo tempo accusato di corruzione e deposto. A costo di diventare un fantoccio degli Stati Uniti è stato riportato al potere solo per essere, infine, catturato ed espulso dalle truppe di coloro a cui doveva il potere. Aristide, purtroppo, non è stato immune all’uso improprio e alla malversazione dei fondi stabilito da Duvalier. Inoltre, secondo la Banca mondiale, tra il 1995 e il 2001, il servizio del debito, cioè gli interessi più l’ammortizzamento del capitale, ha raggiunto la notevole quantità di 321 milioni di dollari.
Tutti gli aiuti finanziari proclamati fino a questo momento a causa del terremoto sono già compromessi per il pagamento del debito estero.
Secondo le ultime stime, oltre l’80% del debito estero di Haiti è di proprietà della Banca Mondiale e della Banca Interamericana di Sviluppo [Inter-American Development Bank (IDB)], ciascuna con il 40%. Sotto il loro controllo, il governo ha applicato i "piani di aggiustamento strutturale" camuffati sotto il nome di "Piani strategici per la riduzione della povertà” (DSRP). In cambio del rilancio dei prestiti, vennero concesse ad Haiti delle riduzioni o annullamenti del debito, insignificanti in sé, ma mirati ad edulcorare l’immagine di “buona volontà” dei creditori. L’inclusione di Haiti nella Iniciativa Paises Pobres Muy Endeudados (PPME) [Paesi Poveri Molto Indebitati] è una tipica manovra di riciclaggio del ripugnante debito, come egualmente è avvenuto nella Repubblica Democratica del Congo. Così facendo si rimpiazza l’ esecrabile debito già esistente con altri nuovi, che si presumono legittimi. CADMT ritiene tali nuovi prestiti sempre parte dei vecchi odiosi debiti, giàcche servono sempre per estinguere a monte; c’è per tanto una continuità del delitto.
Nel 2006, quando il FMI, la Banca Mondiale e il Club di Parigi decisero che Haiti dovesse far parte dell’iniziativa PPME, il totale complessivo di debito pubblico estero era di 1.337 milioni di dollari. Nel momento clou dell’iniziativa (giugno 2009), il debito era 1.884 milioni di dollari. Fu deciso l’annullamento del debito per un importo di 1.200 milioni di dollari per far si che questo “fosse sostenibile”. Nel frattempo, piani di adeguamento strutturale distruggevano tutto il paese, in particolare il settore agricolo, i cui effetti portarono alla crisi alimentare del 2008. L’agricoltura contadina haitiana fu succube dello smaltimento dei prodotti agricoli americani. "Le politiche macroeconomiche sostenute da Washington, l’ONU, il FMI e della Banca mondiale non si preoccupano per nulla del bisogno di sviluppo e di protezione del mercato interno. L’unica preoccupazione di queste politiche è la produzione a basso costo per l’esportazione verso il mercato mondiale " [6]. È quindi sconvolgente sentire che il FMI si dice “pronto ad esercitare le proprie funzioni con un adeguato sostegno nei settori di competenza". [7]
Come espresso nel recente appello internazionale, “Haiti ci chiama alla solidarietà e al rispetto per la sovranità popolare": "Negli ultimi anni, insieme a molte organizzazioni haitiane, abbiamo denunciato l’occupazione militare da parte delle truppe ONU, l’impatto della dominazione imposta dal debito esterno, il commercio senza regole, il saccheggio della natura e la propagazione di interessi globali. Le condizione di vulnerabilità del paese di fronte ad eventi naturali - causate in gran parte dalla devastazione dell’ambiente, dalla assenza di infrastrutture di base, dalla impossibilità dello Stato ad agire - non sono lontane dalle azioni che storicamente attentano contro la sovranità popolare.”
"È giunto il momento per i governi che fanno parte della MINUSTAH [“United Nations Stabilization Mission in Haiti “ N.d.r.], le Nazioni Unite e in particolare la Francia e gli Stati Uniti, i governi fratelli di Sudamerica, di rivedere le politiche che lavorano contro i bisogni fondamentali della popolazione haitiana. Noi sollecitiamo questi governi e le organizzazioni internazionali a sostituire l’occupazione militare con una vera missione di solidarietà, così come la urgente cancellazione del debito estero che altro non è che una illegittima azione che Haiti sta ancora pagando sulla sua pelle” [8].
Al di là della questione del debito, si teme che gli aiuti facciano la stessa fine che fecero nella triste tragedia dello tsunami del dicembre 2004 in diversi Paesi dell’Asia (Sri Lanka, Indonesia, India e Bangladesh) [9], oppure dopo l’uragano Jeanne nella stessa Haiti nel 2004. Le promesse non sono state soddisfatte e una gran parte dei fondi sono stati utilizzati per arricchire le società straniere o cupole locali. Queste “generose donazioni” provengono soprattutto da parte dei creditori del paese. Piuttosto che fare donazioni, non sarebbe preferibile l’annullamento dei debiti che Haiti ha con loro, immediatamente senza indugi e senza obblighi? Possiamo veramente parlare di aiuti, sapendo che la maggior parte di questo denaro servirà a coprire il debito estero o ad accrescere “progetti di sviluppo nazionale”, in conformità agli interessi dei creditori e di quelle stesse oligarchie locali? È chiaro che, senza queste donazioni sarebbe impossibile esigere il rimborso immediato di un passivo la cui metà, almeno, corrisponde ad un ripugnante debito. Le grandi conferenze internazionali di qualsiasi G8 o G20 ampliato alle IFI [“International financial institutions”, istituzioni finanziarie internazionali N.d.r], non contribuiranno a far progredire lo sviluppo di Haiti, bensì serviranno per ricostruire gli strumenti a loro necessari per ristabilire solidamente il controllo neocoloniale del Paese. Cercheranno di garantire il proseguo del rimborso del debito, sul quale si basa la sottomissione, come è già successo negli ultimi tentativi di ridimensionamento del debito.
Al contrario, è la sovranità nazionale la condizione fondamentale per far sì che Haiti possa ricostruirsi degnamente. La completa ed incondizionata cancellazione del debito haitiano dovrebbe essere il primo passo di una politica più generale. Un modello nuovo di sviluppo alternativo alle politiche delle IFI e agli accordi finanziari (APE firmato nel dicembre 2008, Collaborazione Hope II, ecc.) è necessario ed urgente. I Paesi industrializzati che sistematicamente sfruttarono Haiti, iniziando dalla Francia e dagli Stati Uniti, devono elargire riparazioni attraverso un fondo per il finanziamento della ricostruzione controllato dalle organizzazione popolari haitiane.
Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di Marisa Cruzca.
[1] Eduardo Galeano, La Maldicion Blanca, pag. 12, Buenos Aires, 4 aprile 2004.
[2] « L’ordonnance de Charles X qui contraignit les Haitiens à payer leur liberté », Réseau Voltaire.
[3] Rapport au ministre des affaires étrangères, M. Dominique de Villepin, du Comité indépendant de réflexion et de propositions sur les relations franco-haïtiennes, janvier 2004.
[4] « Haiti : Enhanced Initiative for Heavily Indebted Poor Countries— Completion Point Document », International Monetary Fund, Country Report No. 09/288, septembre 2009.
[5] « Le CADTM exige que la restitution des fonds Duvalier et l’annulation de la dette haïtienne soient totales et inconditionnelles », communiqué du CADTM, 25 février 2009.
[6] « Haïti : Le gouvernement mène une politique anti-paysanne et contre la production agricole », communiqué de la Plate-Forme Haïtienne de Plaidoyer pour un Développement Alternatif (PAPDA), 13 octobre 2009.
[7] « Haïti: la communauté internationale et les ONG se mobilisent », Libération, 13 janvier 2010.
[8] « Haïti nous appelle à la solidarité et au respect de la souveraineté populaire », Appel international, 15 janvier 2009.
[9] Voir Damien Millet et Eric Toussaint, Les Tsunamis de la dette, coédition CADTM-Syllepse, Liège-Paris, 2005.
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