© Présidence de la République - Laurent Bienvennec

Alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 25 settembre, il presidente francese François Hollande aveva affermato la sua convinzione sul fatto che il cambiamento di regime in Siria era «certo» e che pertanto Parigi avrebbe riconosciuto «il governo provvisorio, rappresentativo della nuova Siria, a partire da quando verrà formato.» Pensava di poterlo designare lui stesso appoggiandosi sul Consiglio nazionale, l’organizzazione fantoccio creata dalla DGSE e finanziata dal Qatar.

Tuttavia, gli Stati Uniti si sono affrettati a riprendere le cose in mano. Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha stigmatizzato la rappresentatività del Consiglio nazionale, composto da persone che «non sono andate in Siria da 20, 30 o 40 anni» e ne ha organizzato il suo affondamento. Nel corso della riunione di Doha, tenutasi l’11 novembre sotto l’egida della Lega Araba, l’ambasciatore statunitense Robert Ford lo ha riassorbito all’interno di una coalizione nazionale posta direttamente sotto il suo controllo. Questo, ovviamente, non ha migliorato la conoscenza della Siria di quelle persone non vi si sono recate «da 20, 30 o 40 anni», ma ha modificato il giudizio che il Dipartimento di Stato riserva loro: nel momento in cui obbediscono a Washington, sono considerati legittimi.

Tuttavia, la Francia insegue il suo sogno di ricolonizzazione della Siria. All’ONU, François Hollande ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza dia un mandato per amministrare le «zone liberate dai ribelli», sul modello del mandato conferito alla Francia dalla Società delle Nazioni dal 1923 al 1944 sull’insieme della Siria. Seguendo questa logica, la Francia e il Consiglio di cooperazione del Golfo hanno riconosciuto la Coalizione nazionale siriana come «unico rappresentante legittimo del popolo siriano» chiamato a «costituire un governo provvisorio». Inoltre, Parigi ha chiesto all’Unione europea - che ha appena ricevuto il premio Nobel per la Pace - di togliere l’embargo sulle armi, in modo da poter approvvigionare le «zone liberate».

Sembrerebbe che i dirigenti francesi, presi dalle loro chimere, non si siano resi conto della gravità del loro proposito qualora venisse messo in pratica. Non è né più né meno che la messa in causa della sovranità degli Stati-Nazione, che costituisce la base del diritto internazionale dal Trattato di Westfalia del 1648, un principio che è divenuto universale nel 1945 con la Carta delle Nazioni Unite e la decolonizzazione che ne seguì.

Che ci piaccia o no Bashar al-Assad, è giocoforza constatare che egli governa attualmente la maggior parte del territorio siriano con l’appoggio della maggioranza del popolo siriano. Ora la Francia pretende di astrarsi da questa realtà e di poter definire arbitrariamente chi costituisca il governo siriano. Su questa base, essa intende darsi il diritto di amministrare e rifornire di armi le «zone liberate» sopra le quali sventola già la bandiera a tre stelle, che in precedenza aveva imposto a questo paese. Questo processo è stato riconosciuto prima del 1945 per giustificare certe forme di colonizzazione, ma è stato rifiutato nelle regioni del mondo in cui si applicava la sovranità degli Stati-Nazione.

73 anni fa, la Germania impose un primo ministro nazista a Vienna e si appoggiò su di lui per annettersi l’Austria. Seguì una serie di conquiste territoriali che non poteva essere fermata che dalla Seconda Guerra Mondiale. Non vi è dubbio alcuno che, se il ragionamento francese fosse applicato, si aprirebbe la strada a una Terza Guerra Mondiale, come sottolineato da Assad nella sua intervista dell’8 novembre a Russia Today.

I dirigenti francesi non sembrano aver capito quale forma pratica assumerebbe il loro progetto se fosse applicato. Quelle che chiamano «zone liberate» sono regioni dai contorni mobili e incerti controllate dalle brigate dell’ESL. L’unica volta in cui una delle sue zone fu stabilizzata, è stata in un quartiere a sud-ovest di Homs a fine 2011 - inizio 2012. La Katiba Al-Farouk proclamò l’Emirato Islamico di Baba Amr. Le scuole furono distrutte e la Shari’a divenne la Legge. Tutti gli abitanti non-sunniti furono espulsi e più di 150 persone furono condannate da un "tribunale rivoluzionario" a essere sgozzate in pubblico.

Quattro mesi dopo la caduta dell’Emirato Islamico, il presidente François Hollande ha ricevuto in pompa magna a Parigi alcuni dei suoi leader in fuga. Era il 6 luglio, in occasione della riunione del "Gruppo degli amici del popolo siriano" (sic). Oggi, la Francia intende sostenere la creazione di nuovi Emirati islamici nel territorio di uno Stato sovrano, membro delle Nazioni Unite.

In queste condizioni, la Francia dovrebbe riconoscere l’Emirato Islamico dell’Afghanistan a fianco al Pakistan e dell’Arabia Saudita, anziché andare a sacrificare 88 dei suoi soldati per combattere i Taliban. E non si vede il motivo per cui intrattenga ancora relazioni diplomatiche con la Russia, invece di riconoscere il governo provvisorio di Ichkeria (Cecenia).

Lasciamo da parte questo ragionamento per assurdo. Nel 1970, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 2625 che esplicita i principi del Diritto Internazionale, diffusi nella Carta. Questo testo proclama: «Tutti gli Stati devono altresì astenersi dall’organizzare, assistere, fomentare, finanziare, incitare o tollerare delle attività armate sovversive o terroristiche che siano destinate a cambiare con la violenza il regime di un altro Stato, così come dall’interferire nelle lotte intestine di un altro Stato.» In qualità di Presidente della Repubblica francese, spetta a François Hollande il rendersi garante del rispetto di questi principi.

Traduzione
Matzu Yagi
Fonte
Megachip-Globalist (Italia)