Gli jihadisti hanno colpito al cuore Parigi: nei pressi dello stadio di Francia, nel X e XI arrondissement, dove vivevo fino a qualche mese fa, al Bataclan, dove spesso sono andato a fare festa. Il loro obiettivo era la gioventù, il nostro modo di vivere, le nostre libertà. Quel venerdì 13 novembre è stato spaventoso. Così tante vittime, così tanti morti.

Le forze dell’ordine e di sicurezza che hanno rischiato la vita per proteggere la nostra incolumità, gli interventi dei professionisti della sanità hanno suscitato ammirazione unanime, ben al di là delle nostre frontiere. I messaggi di solidarietà e di amicizia arrivati dal mondo intero sono stati carezze di conforto.

L’obiettivo degli assassini è chiaro; creare le condizioni di una guerra civile nel cuore stesso del Paese, introducendovi l’odio, attaccando le libertà che fanno parte della vita di ogni giorno: la libertà di muoversi, di riunirsi, di manifestare…

Questi jihadisti che uccidono nel nome di Daesh non hanno frontiere, si muovono nello spazio transnazionale e nel ciberspazio. Reclutano adepti in tutta Europa, in Africa, in Asia, in Medio Oriente. In parte sono il risultato degli interventi occidentali in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria, di cui non abbiamo mai fatto un bilancio. Senza dubbio perché non siamo mai stati chiamati a pronunciarci sulla loro fondatezza.

Lo stato d’emergenza è stato introdotto dalla legge del 3 aprile 1955, durante la guerra d’Algeria. E anche all’epoca non è stato molto utile per scoraggiare gli attentati sul territorio francese. In compenso ha aperto la via al voto sui poteri speciali del marzo 1956.

Oggi la minaccia è diffusa, sporadica, può ricomparire in ogni momento. È al tempo stesso esterna e interna. Si tratta infatti di giovani francesi, di europei che ammazzano e massacrano là dove sono cresciuti, là dove hanno vissuto. Quindi, l’ipotesi di uno stato d’emergenza che possa durare più di quanto previsto sussiste. Ora, lo stato d’emergenza è uno stato d’eccezione, dunque necessariamente temporaneo, mentre questa minaccia s’inscrive nella permanenza, secondo i termini usati dal primo ministro.

In questo contesto la proroga dello stato d’emergenza rappresenta una necessità?

Dobbiamo dunque ammettere che lo Stato di diritto è uno Stato debole?
Io credo, come Robert Badinter, che lo Stato di diritto non sia uno Stato debole.

Già da un anno sono stati dispiegati mezzi importanti, e mezzi supplementari saranno concessi alla giustizia, alla polizia, all’intelligence. Questi mezzi non sono subordinati allo stato d’urgenza.

Dal 1986 il parlamento non ha mai smesso di rafforzare l’arsenale giudiziario contro il terrorismo. Diverse misure a limitazione delle libertà pubbliche, definite temporanee al momento della loro adozione, sono state in seguito rese permanenti.

Numerosi mezzi di azione giudiziaria, d’istruzione e giudizio per lottare contro il terrorismo esistono già nel nostro diritto. Per dire le cose con chiarezza, rappresentano già una deroga al diritto comune: è così per la custodia cautelare, le perquisizioni notturne, le ispezioni domiciliari e i sequestri, i controlli d’identità e le perquisizioni di veicoli, i mezzi di prova alleggeriti, il giudizio degli accusati e le proroghe della prescrizione. La procedura penale in materia di terrorismo è già una procedura eccezionale.

Sfortunatamente, lo stato d’emergenza non è di per sé in grado di allontanare il pericolo. È utile soprattutto per dimostrare che si agisce, senza però fornire prova della superiorità della sua efficacia. Le garanzie dello Stato di diritto non rappresentano un ostacolo alla lotta contro il terrorismo. Mettere da parte l’istituzione giudiziaria è un rischio per la democrazia. Su 2.500 persone che lavorano nell’intelligence, solo 150 appartengono al settore giudiziario. Questo disequilibrio significa che i giudici non hanno i mezzi per elaborare le informazioni loro trasmesse.

Poiché il mio intimo convincimento è che lo stato d’emergenza non offre alcuna superiorità operativa nella lotta contro il terrorismo, ma, al contrario, rappresenta una sospensione dello Stato di diritto, e quindi un rischio per le nostre libertà, ho deciso di votare contro il progetto di legge che proroga lo stato d’emergenza.

Traduzione
Rachele Marmetti