Una settimana dopo l’attacco alleato contro la Siria, rimangono aperti numerosi interrogativi sugli obiettivi e l’esecuzione dell’operazione. I pochi fatti accertati contraddicono le dichiarazioni occidentali ufficiali.

Gli obiettivi dei bombardamenti

Secondo il racconto occidentale, i bombardamenti non miravano a rovesciare la Repubblica Araba Siriana (chiamata «regime di Bashar»), bensì a sanzionare l’uso siriano di armi chimiche.

Tuttavia non è stata esibita alcuna prova dell’uso di queste armi. I tre alleati si sono limitati a diffondere proprie versioni, basate esclusivamente sul video dei Caschi Bianchi [1], un filmato in seguito smentito da diverse persone che vi appaiono e da personale dell’ospedale in cui è stato girato [2].

Con un ragionamento a contrario ci si può invece chiedere se l’obiettivo reale non fosse rovesciare la Repubblica. Ipotesi che il tiro di missili sul palazzo presidenziale di Damasco sembrerebbe confermare. Questa l’interpretazione della Russia, secondo cui il vero obiettivo alleato era contrastare «i successi delle forze armate siriane nella lotta per liberare il territorio dal terrorismo internazionale».

La distruzione del centro di ricerca farmaceutica di Barzah è ancora un mistero. Il laboratorio non era affatto segreto, era stato allestito con l’aiuto dei francesi. Cinque volte l’OPAC [Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, ndt] lo aveva ispezionato, senza mai trovarvi nulla che potesse essere collegato a ricerche su armi chimiche [3]. I responsabili hanno affermato, nel contesto delle sanzioni internazionali, che il laboratorio faceva ricerca nel campo della lotta contro il cancro. Non era sorvegliato, quindi il crollo delle strutture non ha causato vittime. Il crollo non ha nemmeno causato dispersione di sostanze chimiche. La distruzione del centro di ricerca di Barzah non può non rammentare la distruzione della fabbrica d’Al-Shifa, in Sudan. Nel 1998 il presidente Bill Clinton ne ordinò l’abbattimento con il tiro di quattro Tomawak, che causarono un morto e dieci feriti. L’intelligence statunitense aveva certificato che vi si fabbricava gas nervino per conto di Osama Bin Laden. Venne in seguito appurato trattarsi della più importante unità di produzione di farmaci generici del Paese [4]. In particolare, vi venivano prodotti medicamenti contro l’Aids, per aggirare il pagamento dei diritti di brevetto a Gilead Science, società diretta da Donald Rumsfeld e George Schultz [5].

L’esecuzione dell’operazione

Gli alleati sostengono di aver tirato 105 missili, i russi ne hanno invece contati 103 [6]. Gli eserciti dei tre alleati sono stati coordinati dalla NATO, che però non l’ha rivendicato [7]. Conformemente al proprio statuto, l’Organizzazione dovrebbe aver agito con l’avallo del Consiglio del Nord Atlantico. Il che non è però scontato. Infatti, nel 2011, prima del bombardamento di Triplici (Libia), il Consiglio non fu consultato e nessuno protestò. Il coordinamento della NATO avrebbe dovuto fare in modo che i missili lanciati dal Mediterraneo, dal Mar Rosso e dal cielo raggiungessero contemporaneamente gli obiettivi. Le cose non sono andate come pianificato: l’operazione avrebbe dovuto durare mezz’ora, ma tra il primo e l’ultimo lancio sono invece trascorsi un’ora e 46 minuti.

La Russia aveva preventivamente avvertito che avrebbe reagito se suoi soldati fossero stati uccisi. Gli Alleati hanno perciò ordinato ai loro militari di fare attenzione a non colpirli.

L’esercito russo ha comunque tenuto sotto osservazione i tiri, trasmettendone in tempo reale le coordinate all’esercito arabo siriano, che ha così potuto distruggerne. Quando i siriani sono stati sopraffatti dal numero dei tiri degli alleati, l’esercito russo ha attivato il sistema d’inibizione di comandi e controlli della NATO, paralizzando così la maggior parte delle strutture di lancio. I francesi si sono dovuti confrontare per la prima volta con il sistema russo, che già aveva disturbato statunitensi e britannici nel Mediterraneo, nel Mar Nero e a Kaliningrad.

Per giunta, due navi russe sono partite dal porto di Tartus per giocare al gatto e al topo con un sottomarino nucleare d’attacco britannico [8].

Secondo gli stati-maggiori di Russia e Siria, 73 missili sono stati distrutti in volo, fatto che gli stati-maggiori alleati contestano con disprezzo. Chi si trovava sul posto, come me, ha potuto riscontrare l’azione della difesa antiaerea, ma non ha potuto constatare l’impatto degli sbandierati 105 missili alleati.

Gli Alleati hanno subito ricordato che informazioni più dettagliate erano soggette a segreto militare. Tuttavia, i forum specializzati hanno dato la stura a rivelazioni di ogni genere, benché non verificabili, sul massiccio fallimento dell’operazione. Si è certi solo che un aereo francese non ha potuto tirare uno dei suoi missili e lo ha sganciato in mare senza farlo esplodere [9]; e che due fregate multi-missione francesi hanno subìto un blocco informatico e non hanno potuto tirare i missili di crociera navali (MdCN) [10]. Sintomi ben noti a chi ha già dovuto fare i conti con l’arma inibitrice russa.

La difesa siriana è stata sopraffatta dalla quantità di missili che arrivavano da ogni parte. Ha quindi scelto di difendere alcuni obiettivi, come il palazzo presidenziale, e di sacrificarne altri, come il centro di ricerca di Barzah. La Russia ha subito annunciato che avrebbe fornito ai siriani nuove batterie antimissile.

Comunque sia, è evidente che l’operazione è stata il più grande fiasco militare dalla seconda guerra mondiale.

La retorica occidentale

Secondo il diritto internazionale, i bombardamenti degli Alleati sono illegali: nessuno dei tre aggressori è stato attaccato dalla Repubblica Araba Siriana e l’operazione non è stata autorizzata dal Consiglio di Sicurezza.

Gli Alleati hanno dovuto perciò fare propaganda per affermare la legittimità dell’iniziativa. Legittimità contestata dal servizio legale del Bundestag tedesco [11]. Infatti, pur senza prendere in considerazione la natura fantasmatica del presunto attacco chimico della Ghuta, bombardamenti di questo tipo non hanno affatto lo scopo di mettere fine alle sofferenze dei civili.

La Francia ha, dal canto suo, ripetutamente ribadito che non era entrata in guerra contro il «regime di Bashar»; affermazione immediatamente confutata dalla Siria, che ha restituito la Gran Croce della Legion d’Onore del presidente al-Assad all’ambasciatore di Romania, che a Damasco rappresenta gli interessi francesi. «Non è un onore per il presidente Assad indossare una decorazione attribuitagli da un regime schiavo degli Stati Uniti, un Paese che sostiene i terroristi» ha dichiarato il portavoce della presidenza.

Alcuni commentatori di Paesi vicini alla NATO hanno preso a pretesto la «responsabilità di proteggere» (R2P), affermata dall’ONU. Anche questa motivazione è fuori luogo. Infatti, la R2P può essere applicata per sostituirsi a Stati in fallimento, ma questo non è il caso della Repubblica Araba Siriana, i cui servizi pubblici continuano a funzionare dopo sette anni di guerra.

Alla fin fine, con questa operazione Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno dimostrato di collocarsi al di fuori del diritto Internazionale, ma hanno anche dimostrato che i loro eserciti non sono più quelli di un tempo.

Traduzione
Rachele Marmetti

[2Per esempio: “Le testimonianze che invalidano le accuse dei Caschi Bianchi”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 15 aprile 2018.

[3Ultima ispezione: “Progress in the elimination of the Syrian chemical weapons programme”, by Ahmet Üzümcü , Voltaire Network, 23 March 2018.

[4Sulle conseguenze sanitarie disastrose della distruzione, si veda l’articolo dell’allora ambasciatore Tedesco, Werner Daum: “Universalism and the West. An Agenda for Understanding”, in «The Future of War», Harvard International Review, Vol. 23 (2) - Summer 2001.

[5« La guerre, comme stratégie industrielle », Réseau Voltaire, 19 mars 2003.

[7Falsi made in Usa e bugie made in Italy”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 17 aprile 2018.

[8British submarine in duel with Kremlin’s ‘Black Hole’ hunter-killer”, Mark Hookham & Tim Ripley, The Times, 16 avril 2018.

[9«Frappes en Syrie : un des missiles Scalp « n’est pas parti » du Rafale», Guerric Poncet, Le Point, 18 avril 2018.