Il 25 aprile scorso si è chiusa la seconda conferenza di Bruxelles a sostegno della Siria e dei Paesi della regione, organizzata congiuntamente da Unione Europea e Nazioni Unite.

I Paesi donatori hanno manifestato l’intenzione di aiutare il Libano ad accogliere i rifugiati siriani per il tempo necessario all’elaborazione di una soluzione politica per la Siria [1] e hanno esortato i Paesi ospitanti a concedere statuto giuridico ai rifugiati, anche in caso di rientro temporaneo nel proprio Paese. Pare che il primo ministro libanese (sunnita), Saad Hariri, sia d’accordo.

Tuttavia, dopo la pubblicazione del comunicato conclusivo le altre autorità libanesi, ossia il presidente della Repubblica (cristiano) e il presidente dell’Assemblea Nazionale (sciita), hanno vivacemente contestato la conferenza, ritenendo che la ricerca di una soluzione politica — peraltro già raggiunta a Sochi [2] — sia un pretesto per impedire il rientro dei rifugiati siriani nel proprio Paese.

Il presidente del Libano, Michel Aoun, si è spinto oltre. Secondo Aoun, gli occidentali vogliono privare la Siria dei suoi abitanti e costringere il Libano a naturalizzarli.

Per giunta, i libanesi giudicano che la risoluzione di questa conferenza sia in opposizione con la politica di distacco che, dalla Dichiarazione di Baabda, vieta al Libano d’intervenire in Siria.

Anche in Europa qualcuno comincia a interrogarsi sull’accoglienza che l’Unione Europea offre ai rifugiati siriani. Il “diritto d’asilo” sembra deviare dalla finalità che gli è propria: nel caso della Siria non si tratterebbe più di salvare civili che arrivano da un teatro di guerra, bensì di privare un Paese dei suoi abitanti.

Traduzione
Rachele Marmetti

[2«A Sochi consenso dei siriani», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 6 febbraio 2018, traduzione di Rachele Marmetti.