Michel Aoun e Angela Merkel

L’obiettivo ufficiale della visita in Giordania e in Libano della cancelliera tedesca Angela Merkel era prevenire l’arrivo di nuovi rifugiati in Europa, offrendo aiuto a questi due Paesi per far fronte alla crisi siriana.

La visita di Merkel è avvenuta in concomitanza con l’elaborazione del piano degli Stati Uniti per sbloccare il conflitto arabo-israeliano.

Merkel era accompagnata da una delegazione di capi di imprese tedesche, fiduciosi di ottenere contratti, in particolare per la “ricostruzione” del Libano.

Ad Amman la cancelliera è stata ricevuta da re Abdallah II, cui ha manifestato preoccupazione per l’eventuale installazione dello Hezbollah pro-iraniano nel Sud del Libano: una minaccia sia per Israele sia per la Giordania. Merkel ha sbloccato un prestito di 100 milioni di dollari per aiutare il Regno di Giordania a far fronte alla crisi economica, in parte imputabile all’accoglienza di 650.000 rifugiati siriani, e a soddisfare le esigenze del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Sembra che la cancelliera tedesca abbia offerto il proprio appoggio al progetto USA di creare una nuova Giordania, che includa i Territori Palestinesi (Cisgiordania e Gaza).

La cancelliera ha anche visitato le truppe tedesche che, dopo il ritiro dalla Turchia, sono ora basate ad Al-Asrak.

La Giordania è una monarchia autoritaria, il sistema di governo libanese è invece ripartito fra il presidente della repubblica (cristiano), il capo del governo (mussulmano sunnita) e il presidente del parlamento (mussulmano sciita).

A Beirut Angela Merkel è stata ricevuta, in successione, dal primo ministro Saad Hariri, dal presidente del parlamento Nabih Berri e dal presidente della repubblica Michel Aoun.
Nel primo degli incontri, la cancelliera tedesca ha sottolineato il fardello che l’afflusso di rifugiati siriani rappresenta per il piccolo Libano; si è quindi impegnata ad aiutare il Paese nella stabilizzazione dei profughi e a promuoverne lo sviluppo economico. Da parte sua, il primo ministro Hariri ha ringraziato la Germania per aver partecipato al Tribunale Speciale incaricato di giudicare gli autori dell’uccisione del padre, Rafic Hariri. Quest’organismo, dallo statuto impreciso, fu inizialmente creato per condannare i presidenti libanese, Émile Lahoud, e siriano, Bashar al-Assad.

Da buon pedagogo, il presidente del parlamento, Berri, si è pronunciato per un migliore coordinamento con il governo siriano nell’organizzazione del rientro dei rifugiati.

Lo spostamento dei siriani in Libano non è comparabile ai rifugiati siriani in Germania: storicamente, Siria e Libano sono stati un unico Paese fino alla seconda guerra mondiale. Se si vuole fare un paragone, occorre farlo con la riunificazione tedesca, benché più nessuno oggi voglia riunificare la Grande Siria. I siriani in Libano sono oggi oltre un milione, ma non tutti sono profughi.

Il terzo incontro è andato molto meno bene. Il presidente Aoun ha sottolineato il peso che i rifugiati rappresentano per il Paese e ha caldeggiato un loro rientro in Siria, nelle zone già liberate. La Germania però considera liberate non le zone controllate dalle istituzioni democraticamente elette, bensì quelle in mano all’”opposizione moderata”, che il presidente Aoun equipara invece agli jihadisti. Dal punto di vista di Aoun, Berlino, offrendosi di aiutare il Libano ad accogliere i siriani, mira a coinvolgerlo nella politica anti-siriana della Germania.

Nella Conferenza CEDRE dell’aprile scorso a Parigi, la Germania ha promesso di donare al Libano 61 milioni di dollari. Subito è nata una polemica analoga e il ministro degli Esteri Gebran Bassil, genero del presidente Aoun, ha minacciato di rifiutare il denaro se fosse stato subordinato alla naturalizzazione dei rifugiati.

L’ambasciatore tedesco Martin Huth ha assicurato i media libanesi che mai la Germania ha pensato di forzare il Libano a naturalizzare alcuno.
Tuttavia Merkel ha sottolineato che, secondo lei, i rifugiati potrebbero tornare in Siria soltanto sotto la responsabilità delle Nazioni Unite, dunque non sotto quella delle autorità democraticamente elette.

Traduzione
Rachele Marmetti