L’amministrazione dello sceicco Hassan Rohani, dopo aver concluso l’accordo 5 + 1, ha smantellato il sistema di aggiramento delle sanzioni a suo tempo ideato dal governo di Mahmoud Ahmadinejad. Dopo essere riuscito a svincolare 400 milioni di dollari bloccati negli Stati Uniti, Rohani faceva affidamento sulla concretizzazione dell’accordo per rilanciare gli scambi internazionali. Il ritiro degli Stati Uniti e l’annuncio di nuove sanzioni hanno provocato il panico e il crollo dell’economia iraniana.
Le sanzioni USA su metallo, moneta, debito e, soprattutto, prodotti automobilistici iraniani saranno applicabili dal 7 agosto, quelle nei settori bancario e petrolifero dal 5 novembre.
Con l’approssimarsi di queste scadenze, l’economia iraniana cola sempre più a picco. Il rial, che a fine 2017 veniva scambiato a 42.000 contro un dollaro, alla fine del mese di luglio 2018 è passato a 110.000. Da sette mesi il Paese è scosso da manifestazioni contro la corruzione e la cattiva gestione del governo Rohani. L’ex presidente Ahmadinejad è stato messo agli arresti domiciliari e il suo vicepresidente è stato condannato, dopo un processo segreto, a 15 anni di prigione.
Passando dagli insulti e le minacce a un’apertura per le trattative, come già aveva fatto con il presidente nordcoreano Kim Jong-un, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, il 30 luglio ha proposto all’omologo Rohani un incontro al vertice, senza condizioni.
L’amministrazione Rohani ha immediatamente risposto che accetterà la proposta solo quando gli Stati Uniti rientreranno nell’accordo sul nucleare 5 + 1 (JCPoA).
Il presidente dell’Assemblea Nazionale dell’Iran, Ali Larijani, ha fatto appello al governo affinché non chiuda la porta ai negoziati.
Il ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif, si è recato con discrezione in Oman, dove nel 2011 erano iniziati i negoziati segreti sull’accordo 5 + 1 e sull’elezione di Rohani. Il ministro degli Esteri dell’Oman, Yusuf bin Alawi, è poi partito per Washington per incontrare il suo omologo, Mike Pompeo.
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