Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi.
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I servizi segreti francesi per l’estero (DGSE) sono favorevoli alla «messa al bando diplomatico del regime siriano», nonché a «un aiuto sostanziale sul piano militare alle brigate dell’Esercito Libero». Per convincere l’opinione pubblica francese, i servizi fanno scendere nell’arena Bassma Kodmani, amante dell’ex direttore della DGSE, Jean-Claude Cousserau, divenuto portavoce dell’opposizione siriana in Francia. La sorella di Kodmani, Hala, diffonde la propaganda della DGSE sul quotidiano di sinistra Libération.

LA PAROLA AL POPOLO SIRIANO

Quando Bassma Kodmani, portavoce dell’“opposizione siriana” e compagna dell’ex direttore dei servizi segreti francesi Jean-Claude Cousseran, ha dichiarato che “il regime non è in grado di organizzare elezioni presidenziali [e] questa è la prova che si tratta di una dittatura”, è stato adottato un nuovo codice elettorale, conforme agli standard occidentali, quindi si sono indette le elezioni.

Fino a quel momento il presidente è stato nominato dal partito Baath e approvato con un referendum. Per la prima volta, dunque, sarà eletto a suffragio universale diretto. Ma è poco probabile che la Coalizione nazionale delle forze dell’opposizione e della rivoluzione abbia un candidato, non a causa della clausola che impone di risiedere in Siria per i dieci anni precedenti, ma perché i gruppi armati sono fortemente contrari alla democrazia. Secondo loro, come espresso dai Fratelli musulmani, “Il Corano è la nostra costituzione” e ogni voto è illegittimo. Non vi è quindi ombra di dubbio sul fatto che venga eletto il candidato del regime. Tuttavia, l’eventuale legittimità non dipende dalla percentuale di voti a favore, ma dal numero di consensi e dalla relativa rappresentatività rispetto alla popolazione generale.

La Francia è consapevole del fatto che, su circa 22 milioni di siriani, meno di 2 milioni vivono nelle “zone liberate” e, pertanto, non parteciperanno al voto. Altri 2 milioni sono rifugiati in Giordania, Libano, Turchia ed Europa. Per sabotare le elezioni è quindi necessario evitare che quei siriani vi possano partecipare. La Francia riesce a convincere i suoi partner europei a seguirla nel vietare i seggi nei consolati siriani, in violazione della Convenzione di Vienna del 24 aprile 1963. Invocato dai rifugiati in merito a tale abuso di potere [1], il Consiglio di Stato si dichiara incompetente, mentre gli “Amici della Siria” denunciano la “parodia della democrazia” per “continuare la dittatura”.

L’elezione vede opposti tre candidati: il comunista Maher Hajjar, il liberale Hassan al-Nouri e il baathista Bashar al-Assad. Lo Stato fornisce ai candidati i mezzi per condurre la campagna garantendone la sicurezza, mentre i media danno loro la parola. In sostanza, se gli elettori seguono con interesse le proposte di ognuno, al-Assad si trova in una situazione analoga a quella di De Gaulle nel 1945. La scelta non ammette alternative: sostenerlo per la sopravvivenza della Repubblica araba siriana o non votare e stare dalla parte dei jihadisti.

Secondo la Sicurezza Generale libanese, sono oltre 100 mila i rifugiati siriani che si ammassano attorno all’ambasciata siriana a Beirut per eleggere il presidente della Repubblica, sfidando le fatwa dell’opposizione e gli avvertimenti degli Occidentali.

Prima dell’apertura dei seggi in Siria, vengono chiamati a votare i rifugiati, ma senza molta speranza. La propaganda occidentale ha convinto i siriani del fatto che i rifugiati siano tutti “oppositori”. Eppure, quando si chiede loro il motivo, in larga parte assicurano di aver lasciato la patria per via dei combattimenti e non “a causa della dittatura”. Il 28 e 29 maggio 2014, per le elezioni in Libano – autorizzate nell’ambasciata – si muove una folla di almeno 100 mila persone – secondo la Sicurezza generale libanese – che blocca interamente la capitale. In Siria l’esercito interviene per disperdere la folla che proviene da tutto il paese, e l’ambasciata, così travolta, si vede costretta a prolungare gli orari e poi le date per il voto. È una bella sorpresa per i siriani e uno shock per le cancellerie occidentali [2].

Alla fine, nonostante la richiesta di boicottaggio, va alle urne il 73,42% dei siriani in età di voto [3]. Sono presenti 360 media stranieri e tutte le ambasciate aperte a Damasco garantiscono il corretto svolgimento delle elezioni. Al-Assad riceve 10.319.723 preferenze, pari all’88,7% dei voti e al 65% della popolazione in età di voto; il candidato liberale Hassan al-Nouri 500.279 e il candidato comunista Maher Hajjar solo 372.301 voti.

Durante la campagna elettorale la Francia e i suoi alleati, spinti da Jeffrey Feltman, hanno tentato di far riconoscere dal Consiglio di sicurezza la giurisdizione della Corte penale internazionale nella guerra civile siriana. Chiaramente la proposta di risoluzione designava tutte le parti interessate siriane, sia la Repubblica, sia i jihadisti, ma si poteva prevedere che il procuratore Fatou Bensouda avrebbe agito come aveva fatto il suo predecessore Luis Moreno Ocampo in Libia: secondo gli ordini della NATO.

Il progetto di risoluzione fa seguito alle accuse del rapporto “Cesare” e di Carter-Ruck, così come a quelle di Le Monde che ha affermato che la “dittatura alawita” violenta sistematicamente le donne dell’opposizione sunnita. La giornalista di Le Monde, Annick Cojean, pubblica la testimonianza di una vittima che ha affermato: “Siamo state violentate ogni giorno al grido di ‘Noi alawiti vi schiacceremo’”. La Cojean, presidente del Premio Albert Londres, si è formata presso la Fondazione franco-americana. È lei che pubblica, un anno dopo la morte della Guida, Les Proies: dans le harem de Kadhafi [4], un libro fantasy in cui lo accusa di aver violentato molti bambini, giustificando così – a posteriori e senza uno straccio di prova – la distruzione della Libia.

Ma dopo l’elezione democratica e trionfale di Bashar al-Assad, chi può ancora credere alle crudeltà, alle dilaganti torture e alla “dittatura alawita”? Il progetto di risoluzione francese viene respinto dalla Russia e dalla Cina, che pongono così il loro quarto veto.

Gli Stati Uniti hanno tenuto la Francia lontana dalla formazione dell’ISIS. Parigi scopre con sorpresa che questo nuovo attore scombina i suoi piani. Si tratta di un immenso esercito superequipaggiato. Nella foto: un campo di addestramento alla frontiera israeliana.

ISIS E CALIFFATO

All’interno di Al Qaida esplode uno scontro. I siriani dello Stato islamico in Iraq, che hanno formato il Fronte per la vittoria – in arabo “Jabhat al-Nusra”, detto “al-Nusra” – entrano in conflitto con la casa-madre quando anche gli iracheni dell’Emirato si spostano in Siria. Il conflitto degenera mentre Francia e Turchia appoggiano i siriani contro gli iracheni. Entrambi i paesi inviano munizioni ad al-Nusra, tramite la facciata dell’Esercito siriano libero. Tuttavia, le battaglie tra le due organizzazioni non sono molto generalizzate. Così nel Qalamun – sul confine libanese – sono sempre gli stessi uomini a portare entrambe le bandiere.

Quando, nel maggio del 2014, la Turchia annuncia alla Francia la sua partecipazione – insieme ad Arabia Saudita, Stati Uniti, Israele, Giordania, Governo regionale curdo iracheno, tribù sunnite, Ordine Naqshbandıˉ iracheno e Norvegia – all’organizzazione di una vasta operazione contro l’Emirato islamico in Iraq, la guerra intestina si interrompe.

Hillary Clinton e Barack Obama, allora candidati alla presidenza USA, hanno presentato gli interessi strategici dei Fratelli Mussulmani al think-tank della NATO, il gruppo Bilderberg, nel 2008, durante una riunione all’hotel Marriott di Chantilly (USA).

La Francia mette a disposizione forze speciali e la multinazionale Lafarge. Ma facciamo brevemente il punto, essenziale per comprendere lo svolgimento degli eventi. Nel giugno 2008 la NATO organizza a Chantilly (Stati Uniti) l’incontro annuale del Gruppo Bilderberg [5], dove Hillary Clinton e Barack Obama si presentano ai 120 partecipanti. Tra questi, compaiono Bassma Kodmani (futura portavoce della Coalizione nazionale siriana) e Volker Perthes (poi assistente di Feltman alle Nazioni Unite per la Siria). Durante un dibattito sul futuro della politica estera statunitense, intervengono per parlare dell’importanza dei Fratelli musulmani e del ruolo che potrebbero svolgere nella “democratizzazione” del mondo arabo. Jean-Pierre Jouyet (futuro segretario generale dell’Eliseo), Manuel Valls (futuro primo ministro) e Bertrand Collomb (direttore di Lafarge) sono presenti al fianco di Henry R. Kravis (futuro coordinatore economico dell’ISIS e mecenate di Emmanuel Macron).

Torniamo ora alla nostra storia. Lafarge è leader mondiale del cemento. La NATO – per la quale ha già segretamente lavorato nel 1991 – la incarica della costruzione dei bunker jihadisti in Siria e della ricostruzione della parte sunnita dell’Iraq. In cambio, Lafarge permette all’Alleanza di gestire i suoi impianti in entrambi i paesi, in particolare quello di Jalabiya (al confine con la Turchia, a nord di Aleppo). Per due anni, la multinazionale fornisce materiali da costruzione per le gigantesche fortificazioni sotterranee che permettono ai jihadisti di opporsi all’Esercito arabo siriano. Lafarge è ormai diretta dallo statunitense Eric Olsen, che ha accorpato alla società le fabbriche dei fratelli Sawiris e di Firas Tlass (fratello del generale Manaf Tlass, che la Francia aveva ipotizzato come futuro presidente siriano). I legami tra Lafarge e le forze speciali francesi sono agevolati dall’amicizia tra Bertrand Collomb (diventato presidente onorario della multinazionale) e il generale Benoît Puga (ancora capo di Stato maggiore del presidente Hollande).

Lo stabilimento Lafarge di Jalabiya produce sei milioni di tonnellate di cemento necessarie alla costruzione delle moltissime fortificazioni sotterranee dell’ISIS. Contemporaneamente ospita forze speciali della NATO (Francia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti). Nella foto: soldati dell’ISIS all’interno della fabbrica.

Quando il giornale on line Zaman al-Wasl pubblica le prove [6] del fatto che Lafarge finanzia l’ISIS, Le Monde gli dà man forte e pubblica la propria versione dei fatti, sostenendo che la multinazionale ha comprato petrolio per far funzionare il proprio impianto. Il che è falso, visto che l’impianto è alimentato soprattutto a carbone, che continua a essere spedito dalla Turchia. Le Monde ammette però – probabilmente senza rendersene conto – che Lafarge costruisce le fortificazioni dell’ISIS, visto che 2,6 milioni di tonnellate di cemento prodotte ogni anno vengono destinate alle “zone ribelli”.

La quantità di cemento prodotta da Lafarge per l’ISIS – almeno 6 milioni di tonnellate – è paragonabile a quella impiegata dal Reich tedesco nel biennio 1916-1917 per costruire la linea Sigfrido. Così, dal luglio 2012, non si tratta più di una guerra di quarta generazione spacciata per rivoluzione, ma di una classica guerra di posizione. La produzione cesserà con l’intervento dell’aviazione russa, la sola in grado di distruggere i bunker. A quel punto, l’impianto di Jalabiya diventerà il quartier generale delle forze speciali della NATO (Stati Uniti, Francia, Norvegia, Regno Unito).

A margine della manifestazione Je suis Charlie dell’11 gennaio 2015, 56 capi di Stato e di governo si sono riuniti in una via adiacente al corteo e hanno posato pochi minuti davanti alle telecamere per poi tornare nel proprio Paese. Basandosi su queste immagini, sono stati presentati come leader di una manifestazione cui non hanno mai partecipato.

Il 7 gennaio 2015, a Parigi, due individui vestiti da commandos che si proclamano appartenenti ad Al Qaida uccidono alcuni impiegati della redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, mentre un terzo, dichiarandosi membro dell’ISIS, uccide una poliziotta e prende in ostaggio i clienti di un supermercato kosher. Come sempre accade dall’11 settembre, i terroristi seminano indizi per essere identificati, in questo caso documenti d’identità. Il governo amplifica la propria reazione e l’intero paese si abbandona allo stupore prima e alla paura poi. Il presidente Hollande e altri capi di Stato sfilano con oltre un milione e mezzo di francesi al grido di “Siamo tutti Charlie!”. Tra questi, i principali alleati della Francia contro la Siria: Benjamin Netanyahu (Israele) e Ahmet Davutoğlu (Turchia), che sostengono pubblicamente i jihadisti. Quando evidenzio la messa in scena e le molte persone che si rifiutano di “essere Charlie”, la direttrice dell’informazione di France 2, Nathalie Saint-Criq, interviene in diretta sul TG per castigare i “complottisti” che devono essere “individuati, contrastati, integrati o reintegrati nella comunità nazionale”. Più tardi si scoprirà che i terroristi hanno acquistato le armi da un ex mercenario che lavorava per la polizia [7] e l’inchiesta sarà coperta dal “segreto di Stato” [8]; che due di loro sono stati addestrati da un agente della DGSE [9] e che i capi di Stato hanno posato per i fotografi senza aver mai sfilato per le strade di Parigi. Indipendentemente da tutto questo, il governo dichiara lo stato di emergenza che viene approvato dal Parlamento, non solo nella Francia metropolitana ma anche nei dipartimenti e nelle collettività d’oltremare. Viene prorogato quattro volte e permane ancora sul modello del Patriot Act statunitense.

Rinnegando gli impegni presi da Alain Juppé per la creazione di un Kurdistan in Siria, il presidente François Hollande riceve all’Eliseo una delegazione di combattenti anti-turchi del PKK.

In virtù del trattato segreto Juppé-Davutoğlu, François Hollande prende in considerazione la creazione di un “Kurdistan” al di fuori dei territori storici curdi e organizza un incontro segreto all’Eliseo, il 31 ottobre 2014, tra il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdoğan, e il co-presidente dei curdi in Siria, Salih Muslim, al quale promette la presidenza del futuro Stato. Tuttavia, all’inizio del 2015 l’altra co-presidente dei curdi siriani, Asya Abdullah, vince a Kobanê – guadagnandosi le lodi degli statunitensi – e viene pubblicamente ricevuta da Hollande l’8 febbraio 2015, accompagnata da un’altra donna in uniforme da ufficiale.

Il commissario Patrick Calvar, capo dell’intelligence interna, conferma davanti ai deputati di aver identificato lo Stato che ha ordinato gli attentati del 13 novembre 2015 (del Bataclan), però guardandosi bene dal nominarlo.

L’inversione di rotta fa infuriare Erdoğan, che commissiona gli attentati del 13 novembre a Parigi. Al secondo piano del Bataclan, gli ostaggi vengono torturati e mutilati, altri decapitati. François Hollande vieta di rendere pubblica l’informazione, comunque confermata da alcuni poliziotti davanti a una commissione parlamentare [10]. Patrick Calvar, capo del controspionaggio, testimonierà dinanzi a una commissione parlamentare che i suoi servizi hanno identificato lo Stato mandante. Sottraendosi alle proprie responsabilità, il presidente organizzerà cerimonie di commemorazione strappalacrime per convincere i connazionali che il terrorismo è una piaga inevitabile. Istituirà una medaglia di “riconoscimento per le vittime del terrorismo” ma non prenderà alcun provvedimento contro la Turchia, che sarà mandante di un altro crimine, cinque mesi dopo – contro il Belgio – all’aeroporto di Bruxelles-National e davanti alla sede della Commissione europea, nel punto esatto in cui il partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) ha appena manifestato.

La stampa britannica rivela che Mohammed Abrini, l’unico soldato dell’ISIS ad aver partecipato sia agli attentati sia di Parigi sia di Bruxelles, è informatore dei servizi segreti di Sua Maestà (MI6).
L’edizione speciale di Star (giornale vicino all’AKP) del 23 marzo 2016, titola: «Il serpente che il Belgio nutriva nel proprio seno l’ha morso», riferendosi al discorso pronunciato dal presidente Erdoğan il 18 marzo.

Lungi dal mascherare la propria responsabilità, Recep Tayyip Erdoğan pronuncia un sonoro discorso in occasione delle celebrazioni del 101° anniversario della Battaglia di Gallipoli – o Campagna dei Dardanelli –, ossia quattro giorni prima degli attentati in Belgio [11]. Accusa gli europei di sostenere il PKK e annuncia cosa sarebbe accaduto a Bruxelles. All’indomani dell’attentato, la stampa dell’AKP (Star, Akit, Internethaber) sostiene che gli europei hanno avuto ciò che si meritavano [12].

Per dare l’impressione di reagire all’ISIS, la Francia schiera la portaerei Charles De Gaulle – a febbraio-marzo e poi a novembre-dicembre 2015 – scortata da una flotta impressionante e dotata di 32 velivoli (droni, elicotteri e aerei). Durante la seconda missione, il presidente Hollande sale a bordo e sottolinea che la nave guiderà un importante schieramento internazionale. In realtà, i francesi sono stati inclusi nella Task Force 50 dell’US NAVCENT, cioè la flotta del Comando centrale degli Stati Uniti. Chiaramente le sessanta navi sono controllate dal contrammiraglio René-Jean Crignola, ma questi è sottoposto all’autorità del comandante della Quinta Flotta – il viceammiraglio Kevin Donegan –, a sua volta agli ordini del generale Lloyd J. Austin III, comandante dello United States Central Command. È infatti una regola assoluta dell’impero: il comando delle operazioni alleate spetta sempre agli ufficiali statunitensi, gli europei sono soltanto soldati ausiliari.

Alla fine del 2015 la Francia invia il suo primo ministro, Manuel Valls, a intavolare trattative per accordi economici in Arabia Saudita: 3 miliardi in ordini per l’esercito libanese e 10 miliardi per altri contratti. Ma i sauditi sono furiosi per l’accordo sul nucleare iraniano, che i francesi si erano impegnati a sabotare, e non apprezzano affatto le esitazioni di Parigi in Siria. I francesi si dimostrano dei semplici vassalli, costosi e inefficienti. La raccolta sarà assai più magra del previsto, come anche i “doni”.

All’inizio del 2016 i francesi non protestano quando François Hollande nomina Laurent Fabius presidente del Consiglio costituzionale. Questo comporta una rottura con gli iraniani, che lo avevano ricevuto dopo aver firmato l’accordo nucleare con i 5+1. Nell’occasione Fabius aveva intenzione di stabilire rapporti commerciali, benché avesse cercato di sabotare l’accordo per anni e confessato, durante una cena, di aver spiato a favore di Israele, al quale aveva trasmesso via via un resoconto dei negoziati. Era stato quindi accolto dalle autorità con gli onori cerimoniali che spettano al suo rango, mentre le organizzazioni rivoluzionarie protestavano per le strade al suo passaggio, dall’arrivo all’aeroporto alla ripartenza. I manifestanti avevano sfoggiato cartelli che ricordavano come fosse responsabile della morte di oltre 2000 emofiliaci nel 1985-1986 e di come avesse appoggiato Al Qaida che faceva “un buon lavoro” uccidendo decine di migliaia di siriani.

Jean-Marc Ayrault lo sostituisce al Ministero degli Esteri. Molto preoccupato dal crescente divario tra Francia e Germania, decide di concentrare le proprie forze per evitarne il distacco. In tal modo, sacrifica il dossier siriano e, dopo qualche settimana di esitazione, opta per mantenere le posizioni dei predecessori Juppé e Fabius.

Ayrault non intrattiene alcun rapporto con il nuovo primo ministro, Manuel Valls, trattando direttamente con François Hollande, che decide di seguire personalmente la questione siriana.

Mentre Ayrault è un moderato sostenitore d’Israele, Valls è molto più intransigente sulla questione. Entra così in contrasto con il presidente Hollande a proposito degli scavi archeologici intrapresi da Tel Aviv a Gerusalemme a danno dei monumenti musulmani. Una volta legato alla causa palestinese, accredita la sua inversione di rotta al matrimonio con la violinista ebrea Anne Gravoin.

A Nizza un nuovo attentato causa 86 morti e 484 feriti. Il presidente Hollande continua a mentire ai propri concittadini per nascondere le proprie responsabilità. I francesi continuano a non capire che di tratta delle conseguenze di quanto è stato fatto in loro nome in Siria.

La sera della festa nazionale del 14 luglio 2016, un individuo che si proclama membro dell’ISIS – Mohamed Lahouaiej-Bouhlel – travolge con un camion i passanti sulla Promenade des Anglais, provocando 86 morti e 484 feriti. Anche se nessuno – e in nessun luogo – è mai riuscito a uccidere e ferire tante persone con un autoveicolo, gli investigatori assicurano che l’uomo non ha seguito alcun addestramento specifico e che inoltre ha agito da solo. Eppure la sua famiglia in Tunisia ha appena ricevuto 100 mila euro senza che nessuno abbia cercato di capire chi fosse il mandante di quel crimine. Mentre vige ancora lo stato di emergenza, si scopre che il terrorista ha potuto agire con tanto agio perché 60 poliziotti sono stati trasferiti da Nizza ad Avignone per garantire la sicurezza del presidente Hollande, a cena con alcuni attori.

A Parigi si commenta l’avanzata dei jihadisti in Siria sottolineando che il regime controlla ormai solo il 20% del territorio e che quindi è prossimo alla caduta. In realtà, due terzi della Siria sono un deserto che nessuno controlla, né la Repubblica, né i jihadisti. Il presidente al-Assad ha scelto di difendere il popolo anziché il territorio. Almeno 8 milioni di siriani hanno scelto di scappare dai jihadisti e di rifugiarsi nelle città della Repubblica: pare che nessuno abbia fatto il contrario, dalle aree governative a quelle dei jihadisti.

François Hollande s’inferocisce quando, nel febbraio 2015, scopre del viaggio a Damasco di due senatori – Jean-Pierre Vial (repubblicano) e François Zocchetto (centrista) – e di due deputati – Jacques Myard (repubblicano) e Gérard Bapt (PS). Un secondo viaggio, nel settembre 2015, vede ancora una volta protagonista Gérard Bapt, ora accompagnato dai deputati Jérôme Lambert (PS) e Christian Hutin (Chevènement). Poi un terzo, nel marzo 2016, riunisce i deputati (repubblicani) della cerchia di Thierry Mariani, con Valérie Boyer, Nicolas Dhuicq, Denis Jacquat e Michel Voisin. E infine un quarto, nel gennaio 2017, sempre con gli stessi e Jean Lassalle (centrista). Tutti, tranne Gérard Bapt, vengono ricevuti dal presidente al-Assad.

Ma anche il socialista Bapt è andato lì per fare affari. Rappresenta la Gran Loggia dell’Alleanza massonica francese (GLAMF), direttamente dipendente dal Principe Edward, Duca di Kent, che si è separata dalla Grande Loggia nazionale francese (GLNF) creata da Alain Juillet – ex capo dell’intelligence economica del Segretariato generale della Difesa nazionale – per conto degli inglesi. Incontra uomini d’affari ai quali promette di far cancellare i loro nomi dalla lista delle sanzioni europee, in cambio di qualche bustarella sottobanco. Chiaramente non ha alcun potere in materia. Si accompagna a un altro delinquente, Jérôme Toussaint, oggi detenuto in Francia.

Il terzo viaggio evidenzia la presenza in Siria dell’associazione per i Cristiani d’Oriente SOS, che recluta soprattutto dal Fronte nazionale. Se i volontari sono persone che si danno da fare – a loro spese –, l’attività a favore dei soli cristiani legati a Roma rappresenta una discriminazione nei confronti degli ortodossi. I milioni di euro che dicono di raccogliere in Francia non arrivano in Siria. Le autorità religiose della regione iniziano ad andare in collera quando quei cristiani d’Occidente – facendo rivivere lo spirito delle crociate – celebrano una messa tra le rovine del Krak dei Cavalieri, l’imponente fortezza dei crociati del XII secolo. I giovani non sanno che, all’epoca, i cristiani del Levante hanno difeso il paese dagli invasori crociati che paragonano a conquistatori imperialisti.

Alla fine, mentre la Francia affonda, i suoi capi non riescono a formare un fronte antimperialista, essenziale per la ripresa economica. Solo qualche partito si oppone alla guerra coloniale: il Fronte nazionale di Marine Le Pen e Floriant Philippot, il partito democristiano di Jean-Frédéric Poisson, Debout la France di Nicolas Dupont-Aignan, l’Unione popolare repubblicana di François Asselineau, il gruppo repubblicano di François Fillon e France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.

Senza informazioni sul campo in merito alla chiusura dell’ambasciata, incapace di analizzare le cause degli eventi – ma sempre nel tentativo di far credere di essere lei ad avviarli –, la Francia non ha chiaramente previsto il seguito.

(Segue …)

Traduzione
Rachele Marmetti
Alice Zanzottera

La traduzione italiana del libro è disponibile in versione cartacea.

[1« La France coupable d’interdire l’élection présidentielle syrienne », par Me Damien Viguier, Réseau Voltaire, 18 mai 2014.

[2Disordini elettorali a Beirut”, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 11 giugno 2014.

[4Les Proies  : dans le harem de Kadhafi, Annick Cojean, Grasset (2012).

[5Quel che non sapete del Gruppo Bilderberg”, Traduzione di Alessandro Lattanzio, di Thierry Meyssan, Komsomolskaya Pravda, Rete Voltaire, 10 aprile 2011.

[6Lafarge-Holcim e-mails”, Voltaire Network, March 24, 2017.

[7Le armi di Charlie Hebdo furono vendute da un ex-volontario croato”, di Marijo Kavain, Traduzione Alessandro Lattanzio, Slobodna Dalmacija (Croazia) , Rete Voltaire, 16 gennaio 2016.

[9« Des éléments de l’affaire Coulibaly rappellent le rôle de services français en 1999 », par Thierry Meyssan, Alexis Kropotkine, Réseau Voltaire, 27 mai 2015. « À propos de mon entretien sur l’affaire Hermant-Coulibaly », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 1er juin 2015.

[10Rapport fait au nom de la Commission d’enquête parlementaire relative aux moyens mis en œuvre par l’État pour lutter contre le terrorisme depuis le 7 janvier 2015 (2 Vol.), sous la présidence de George Fenech, Assemblée nationale, 5 juillet 2016.

[11Erdoğan minaccia l’Unione Europea”, di Recep Tayyip Erdoğan, Traduzione Matzu Yagi, Rete Voltaire, 18 marzo 2016.

[12« La Turquie revendique le bain de sang de Bruxelles », par Savvas Kalèndéridès, Traduction Christian Haccuria, Réseau Voltaire, 24 mars 2016.