Tutti abbiamo sulle labbra la parola “democrazia” e i media ci allertano sulle le derive autoritarie dei Paesi illiberali. Eppure c’è chi rifiuta di organizzare dibattiti per mettere a confronto opinioni contrastanti sull’11 Settembre e sull’epidemia di Covid-19.
Le celebrazioni del 20° anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001 presentano due versioni dei fatti assolutamente contrastanti: quella della stampa scritta e audiovisiva da un lato, quella della stampa digitale dall’altro. Secondo la prima, Al Qaeda ha dichiarato guerra all’Occidente compiendo uno spettacolare atto criminale; per la seconda, il medesimo atto è servito a mascherare un colpo di Stato interno agli Stati Uniti.
Ogni confronto tra i sostenitori delle due tesi è impossibile. Non perché i due schieramenti lo rifiutino, ma perché gli adepti della versione ufficiale − e soltanto loro − non lo accettano. Giudicano gli avversari “complottisti”, ossia nel migliore dei casi degli imbecilli, nel peggiore dei malevoli, dei complici − non necessariamente consapevoli − dei terroristi.
Una discordia che ormai investe ogni fatto politico importante. La visione del mondo dei due schieramenti è sempre più distante.
Com’è potuto accadere che una simile frattura tra cittadini si sia affermata in società che aspirano alla democrazia? Tanto più che la reazione a questa frattura − non la frattura in sé − impedisce ogni forma di democrazia.
Una concezione del giornalismo particolare
Oggi ci assicurano che il ruolo dei giornalisti è riferire fedelmente ciò che hanno visto direttamente. Eppure, quando un media locale ci chiede il parere su un argomento che ben conosciamo e in seguito vediamo come la questione è stata affrontata, spesso rimaniamo delusi. Abbiamo l’impressione di non essere stati capiti. Alcuni di noi si rammaricano per essersi imbattuti in un giornalista di scarso valore e conservano la fiducia nei media di massa. Altri si dicono che una piccola deformazione su questioni di modesto rilievo è indizio di deformazioni ben più rilevanti su argomenti molto più complessi.
Nel 1989 la folla andata ad ascoltare il dittatore rumeno Nicolaie Ceauşescu lo udì accusare i fascisti di aver inventato il massacro di Timişoara compiuto dai suoi torturatori. Disgustata dal diniego, la folla si ribellò e cominciò a scandire: «Ti-mi-şoa-ra! Ti-mi-şoa-ra!»: Ceauşescu fu rovesciato. La rete televisiva di Atlanta (USA), CNN, diffuse in diretta i pochi giorni della rivoluzione. La CNN fu la prima rete televisiva d’informazione in diretta e si trasformò in rete internazionale. Oggi sappiamo che il massacro di Timişoara non è mai esistito: altro non fu che una messinscena di cadaveri sottratti a un obitorio. Si venne poi a sapere che vicino alla redazione della CNN aveva sede l’ufficio di propaganda dell’Esercito USA.
La manipolazione di Timişoara funzionò solo perché avvenne in diretta. I telespettatori non ebbero il tempo di verificare né di riflettere. Nessun giornalista ne ha mai tratto le debite conclusioni sul piano professionale, in compenso la CNN è diventata il modello delle reti d’informazione in diretta, fiorite un po’ ovunque.
Durante la guerra del Kosovo del 1999 pubblicai un bollettino quotidiano che riassumeva le informazioni della NATO e quelle delle agenzie di stampa regionali (Austria, Ungheria, Romania, Grecia, Albania e così via) cui ero abbonato [1]. Sin dal principio constatai che quel che raccontava la NATO a Bruxelles non trovava conferma nelle notizie delle agenzie regionali, che descrivevano tutt’altro conflitto. Curiosamente, i giornalisti di tutti i Paesi, a eccezione dell’Albania, formavano un unico blocco: scrivevano testi fra loro compatibili, ma incompatibili con quelli della NATO. Settimana dopo settimana le due versioni erano sempre più divergenti.
Per rimediarvi, la NATO affidò la direzione della propaganda a Jamie Shea, che raccontò ogni giorno un aneddoto vissuto sul campo di battaglia. Presto la stampa internazionale non ebbe occhi che per lui. La sua versione s’impose nei media e nessuno più ritrasmise le agenzie di stampa, tranne il sottoscritto. Credevo che i due schieramenti mentissero e la verità andasse cercata tra i due partiti presi.
Alla fine della guerra, organizzazioni umanitarie, diplomatici e militari delle Nazioni Unite si precipitarono in Kosovo. Con loro grande sorpresa constatarono − come me − che i giornalisti locali avevano descritto fedelmente la realtà. Le affermazioni di Jamie Shea non erano che propaganda di guerra. Ma per tre mesi Shea fu ritenuto dai media internazionali l’unica fonte attendibile.
Anche i giornalisti che andarono in Kosovo si resero conto di aver riposto fiducia in personaggi usi a mentire con gran disinvoltura. Eppure rari furono coloro che modificarono il proprio orientamento. Ancor più rari furono coloro che riuscirono a convincere le redazioni dei loro giornali dell’inganno della NATO. La narrazione imposta dalla NATO era divenuta la Verità che i libri di storia avrebbero ripreso, a dispetto dei fatti.
La Grecia antica e l’Occidente moderno
Nella Grecia antica le rappresentazioni teatrali provocavano vive emozioni negli spettatori, arrivando talvolta a suscitare il timore di essere travolti dagli dèi in un fosco destino. Così, progressivamente, il coro, che narrava la storia, cominciò anche ad ammonire che non bisognava lasciarsi abbindolare dallo spettacolo e ricordarsi che non era altro che finzione.
Questo distacco dalle apparenze, che il mito dell’informazione in diretta paralizza, in psicologia è chiamato “funzione simbolica”. I bambini ne sono incapaci: prendono tutto alla lettera. Però a sette anni, al sopraggiungere dell’età della ragione, sono in grado di distinguere la realtà dalla rappresentazione.
Qui la ragione è in opposizione alla razionalità. Essere razionale significa credere soltanto a cose dimostrate. Essere ragionevole significa non credere a cose impossibili. C’è grandissima differenza: non si trova la Verità per mezzo delle convinzioni, ma attraverso i fatti.
Vedere due aerei colpire il World Trade Center e persone gettarsi dalle finestre per sfuggire all’incendio suscita forte emozione. Quando vediamo il crollo delle Torri Gemelle siamo sull’orlo del pianto. Ma queste emozioni non devono impedirci di riflettere [2].
− Possono ripeterci all’infinito che quattro aerei sono stati dirottati da 19 pirati dell’aria, ma se costoro non erano sulla lista dei passeggeri imbarcati non possono averlo fatto.
− Possono ripeterci all’infinito che il carburante dei due aerei in fiamme, scorrendo sui pilastri degli edifici, li ha fatti fondere, ma questo spiega il crollo delle Torri, non il crollo delle Torri su loro stesse; e nemmeno il crollo della terza torre. Perché un edificio crolli, non lateralmente, ma su se stesso, occorre farne esplodere le fondamenta, poi farlo esplodere dall’alto al basso per collassare i piani su se stessi.
− Possono ripeterci all’infinito che, prima di morire, passeggeri spaventati hanno telefonato ai propri cari, ma nei tabulati delle compagnie telefoniche non v’è traccia.
− Possono ripeterci all’infinito che un Boeing ha distrutto il Pentagono, ma un aereo non può entrare da un portone senza distruggerne il telaio.
Le testimonianze sono contraddittorie, ma solamente alcune sono contraddette dai fatti.
Perché accettiamo di essere ingannati
Rimane un problema di non secondaria importanza: perché accettiamo di essere ingannati? Generalmente perché la verità è più dura da accettare della menzogna.
Per esempio, per anni il figlio del presidente della Fondazione Nazionale di Scienze Politiche ha denunciato di essere stato vittima di violenze sessuali da parte del padre: tutti compiangevano questo povero ragazzo che delirava e lodavano il padre che ne sopportava la follia senza battere ciglio. Quando la sorella della vittima ha pubblicato un libro-testimonianza, tutti hanno dovuto prendere atto di chi diceva il vero. Il presidente è stato costretto a dimettersi e si è sottratto alla giustizia solo in virtù del proprio status: ex deputato europeo, presidente dell’istituzione emblematica dell’intera classe politico-mediatica francese, nonché presidente di Le Siècle, il più esclusivo club privato di Francia.
Perché crediamo che Al Qaeda sia responsabile degli attentati dell’11 Settembre? Perché il segretario di Stato, generale Colin Powell, lo ha giurato, mano sul cuore, davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Poco importa che avesse mentito anni prima, convalidando la storia delle incubatrici rubate in Kuwait dagli iracheni e dei neonati lasciati morire. O che avesse mentito sulle armi di distruzione di massa del presidente Saddam Hussein. Era un segretario di Stato, dunque dobbiamo credergli.
Se invece mettessimo in dubbio le sue parole, saremmo costretti a chiederci non soltanto a quale scopo abbiamo invaso l’Afghanistan, l’Iraq e così via, ma anche perché Powell ha mentito.
La reazione al Covid-19: un altro 11 Settembre
L’enigma dell’11 Settembre non è una questione che riguarda il passato: la comprensione dell’ultimo ventennio dipende dalla risposta che gli si dà. Fintanto che non ci saranno contraddittori fra i sostenitori delle due tesi, la frattura si replicherà in tutte le questioni di livello mondiale.
Stiamo vivendo un’altra catastrofe, la pandemia di Covid-19. Tutti abbiamo saputo di un grande laboratorio, Gilead Science, che ha corrotto gli editori della rivista medica The Lancet affinché screditassero una terapia, l’idrossiclorochina. Gilead Science è la società diretta in passato dal segretario alla Difesa dell’11 Settembre, Donald Rumsfeld. Ed è la società che produce un altro farmaco contro il Covid-19, il Remdesivir. A ogni modo, più nessuno ha osato fare ricerca per curare il Covid e tutti si sono volturati sui vaccini.
Donald Rumsfeld incaricò i collaboratori di predisporre protocolli in caso di attacco terroristico con armi biologiche alle basi militari USA estere. Il segretario di Stato chiese poi a uno di loro, dottor Richard Hatchett − all’epoca membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale USA − di estendere il protocollo in caso di attacco alla popolazione civile. Ed è stato Hatchett a proporre l’isolamento obbligatorio di persone sane, suscitando un’alzata di scudi dei medici statunitensi − professor Donald Henderson dell’università John Hopkins in testa [3] − che consideravano Rumsfeld, Hatchett e il loro consigliere, l’alto funzionario Anthony Fauci, nemici del giuramento d’Ippocrate e dell’umanità.
All’arrivo dell’epidemia di Covid-19 il dottor Hatchett è diventato direttore della CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations), fondazione creata al Forum di Davos e finanziata da Bill Gates. Fu Hatchett a utilizzare per primo l’espressione «siamo in guerra», ripresa dall’amico, nonché presidente francese, Emmanuel Macron. E fu ancora lui a consigliare l’isolamento di persone sane, come aveva immaginato 15 anni prima nel contesto della guerra al terrorismo. Quanto ad Anthony Fauci, è rimasto sempre al proprio posto. Eppure distolse denaro pubblico federale per finanziare ricerche illegali negli Stati Uniti, che appaltò al laboratorio di Wuhan, in Cina.
I professionisti della sanità avrebbero dovuto ribellarsi ancora contro l’isolamento obbligatorio di persone sane. Così non è stato. Hanno in massa valutato che la situazione esigesse la violazione del giuramento d’Ippocrate.
I Paesi occidentali che hanno messo in atto i consigli del dottor Hatchett, nonché creduto alle menzogne di Gilead Science, oggi devono fare i conti con un bilancio spaventoso della pandemia. Gli Stati Uniti hanno un numero di decessi per milione di abitanti 26 volte multiplo di quello della Cina, nonché un’economia devastata.
Tutto questo meriterebbe bene qualche confronto e delle spiegazioni. Ma no, preferiamo vedere le nostre società spaccarsi di nuovo fra sostenitori di Fauci e sostenitori del professor Didier Raoult.
Conclusione
Invece che parlarci e confrontarci, preferiamo organizzare dibattiti fasulli tra i sostenitori della doxa dominante e i sostenitori delle più grottesche teorie in circolazione.
È inutile aspirare a vivere in democrazia se rifiutiamo di discutere davvero le questioni più rilevanti.
[1] Le Journal de la guerre en Europe.
[2] Sul significato politico degli attentati dell’11 settembre si legga: “Oggi tutto conferma le tesi di Thierry Meyssan”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 31 agosto 2021.
[3] “Il COVID-19 e l’Alba Rossa”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 aprile 2020.
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