In un discorso televisivo del 13 ottobre, Benjamin Netanyahu ha dichiarato: «Vorrei fare un appello diretto al segretario generale delle Nazioni Unite. È giunto il momento di ritirare l’UNIFIL dalle roccaforti di Hezbollah e dalle zone di combattimento. L’esercito israeliano l’ha chiesto in diverse occasioni ottenendo solo rifiuti, con il risultato di fornire ai terroristi di Hezbollah scudi umani. Il rifiuto di evacuare i soldati dell’UNIFIL li ha trasformati in ostaggi di Hezbollah e ha messo in pericolo loro e i nostri soldati».

Il 14 maggio 1948, al momento del ritiro britannico dalla Palestina mandataria (cioè la Palestina posta dalla Società delle Nazioni sotto l’amministrazione provvisoria del Regno Unito), il Consiglio generale sionista, emanazione della Haganah, principale milizia della comunità ebraica immigrata, proclamò unilateralmente l’indipendenza dello Stato di Israele.
L’annuncio fu dato dal presidente dell’Agenzia Ebraica, organo esecutivo dell’Organizzazione sionista mondiale.

È importante sottolineare che l’occupante britannico si ritirò solo da circa un quarto della Palestina mandataria. Gli altri tre quarti, che costituivano la Transgiordania mandataria, futura Giordania, erano già stati ufficialmente lasciati.

David Ben Gurion legge, a nome del Consiglio generale sionista, la dichiarazione d’indipendenza dello Stato di Israele.

Dopo alcuni giorni di riflessione, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decise di riconoscere il nuovo Stato, sottolineando però che, in linea di principio, non spettava a una milizia, l’Haganah, proclamare uno Stato, benché la proclamazione colmasse il vuoto lasciato dalla partenza dell’autorità mandataria, ossia dei britannici. L’Assemblea generale rilevò senz’altro che la proclamazione d’indipendenza non diceva nulla sul regime del nuovo Stato (teocrazia o repubblica), né sui suoi confini. L’Onu intendeva portare avanti il proprio piano per la creazione di uno Stato binazionale, arabo ed ebraico, senza continuità territoriale tra le due entità (Gerusalemme e Betlemme hanno infatti statuto internazionale), rassicurata dal riferimento del nuovo Stato alla «piena uguaglianza dei diritti sociali e politici per tutti i cittadini, senza distinzione di credo, razza e sesso».

Il giorno successivo alla proclamazione dell’indipendenza, Egitto, Iraq, Transgiordania, Libano, Siria e Yemen inviarono i loro eserciti in Palestina. La storia ufficiale oggi afferma che questi sei Paesi (gli «arabi», s’intenda i mussulmani) non accettavano uno Stato ebraico; in realtà cinque di essi si opponevano alla colonizzazione ebraica in continuità con quella britannica, il sesto invece sosteneva Israele. La religione era infatti un problema solo per Izz al-Din al-Qassam, per i Fratelli Mussulmani e per il mufti nazista Mohammed Amin al-Husseini. La propaganda afferma anche che questi eserciti furono sconfitti dal valoroso esercito israeliano, sottintendendo che «fin dal primo giorno gli ebrei sono moralmente superiori agli arabi». La realtà è diversa. La guerra mondiale era appena finita e nessuno di questi Paesi, a parte la Transgiordania, aveva un esercito degno di questo nome. Le loro truppe erano composte esclusivamente da volontari. Inoltre, l’esercito transgiordano, che pose fine al conflitto, combatté a fianco di Israele contro gli altri arabi. Infatti la Transgiordania, ancora sotto influenza britannica, sperava di impedire la creazione di uno Stato palestinese e di annetterne il territorio. Il suo esercito altro non era che quello britannico: la Legione araba, ancora comandata dal generale John Bagot Glubb, detto Glubb Pasha. Furono i transgiordani, di fatto i britannici, e non gli israeliani a vincere gli eserciti arabi. Nel corso del conflitto il sovrano transgiordano, re Abdallah I, fu del resto proclamato «re di Palestina».

Durante questa guerra, le forze israeliane lasciarono che gli inglesi di Transgiordania combattessero contro gli arabi; da parte loro applicarono il Piano D (in ebraico Piano Dalet). L’Haganh intendeva infatti spartire il minor numero possibile di territori con la Transgiordania. Le forze israeliane importarono illegalmente armi dalla Cecoslovacchia (già gestita dai comunisti), probabilmente con il consenso dell’URSS, con la scusa di contrastare la colonizzazione britannica, in realtà per espellere i palestinesi. Fu la Nakhba (catastrofe): 750 mila palestinesi, tra il 50 e l’80% della popolazione, furono spostati con la forza.

L’anno successivo Israele chiese e ottenne di entrare nelle Nazioni Unite. All’epoca nessun Paese decolonizzato ne faceva parte. I Paesi sotto influenza anglosassone erano la maggioranza. Tuttavia accettarono Israele in modo condizionato. Nella risoluzione 273, l’Assemblea generale dell’Onu fa riferimento a un impegno scritto del ministro degli Esteri del governo provvisorio di Israele, Moshe Shertok, in cui «accetta senza riserve gli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite e s’impegna a rispettarli dal giorno in cui diventerà membro delle Nazioni Unite» [1].

Il 15 novembre 1970, Chaïm Herzog, rappresentante permanente di Israele presso le Nazioni Unite e futuro presidente dello Stato di Israele, alla tribuna dell’Assemblea generale stracciò la dichiarazione 3379, che definiva il sionismo «una forma di razzismo e di discriminazione razziale».

A oggi Israele non ha onorato questo impegno e non ha rispettato le 229 risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Assemblea generale. La sua adesione potrebbe quindi essere sospesa in qualsiasi momento.

Negli ultimi mesi,
– Il 23 marzo il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha dichiarato che l’Onu è diventata «un’organizzazione antisemita e anti-israeliana che ospita e incoraggia il terrorismo».
 Israele ha condotto una campagna contro un’agenzia delle Nazioni unite, l’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), accusandola di essere al servizio di Hamas. A luglio scorso la Knesset ha approvato tre leggi: la prima vieta all’UNRWA di operare sul territorio israeliano; la seconda priva il suo personale dell’immunità diplomatica; la terza la dichiara organizzazione terroristica.
 Lo scorso agosto, al termine del suo mandato, il rappresentante permanente di Israele alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, parlando della sede dell’Onu a New York ha dichiarato che «questo edificio deve essere cancellato dalla faccia della terra».
 Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, persona non grata.
 Le Forze di Difesa Israeliane (FDI) hanno deliberatamente preso di mira soldati francesi, italiani e irlandesi della Forza Interinale delle Nazioni Unite in Libano (FINUL).

Ecco i punti da ricordare:
 Israele non fu creato dal suo popolo, ma dal suo esercito.
 La prima guerra arabo-israeliana non fu vinta dagli israeliani, ma dagli arabi di Transgiordania, comandati dai britannici.
 Aderendo alle Nazioni Unite, Israele si è impegnato a rispettare tutte le sue risoluzioni, cosa che non ha fatto per 229 volte.
 Dopo Palestina, Libano, Cisgiordania, Siria, Iraq, Yemen e Iran, il governo Netanyahu ha aperto un ottavo fronte: le Nazioni Unite.

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Traduzione
Rachele Marmetti

[1« Admission d’Israël à l’Organisation des Nations Unies », Réseau Voltaire, 11 mai 1949.