Il 12 dicembre 2023 l’assemblea generale delle Nazioni unite ha preteso, con 153 voti a favore, un cessate-il-fuoco umanitario immediato a Gaza.

In un anno l’assemblea generale delle Nazioni unite si è profondamente modificata: a ottobre 2022, 143 Stati guidati da Washington condannavano le «annessioni illegali» della Russia in Ucraina; a dicembre 2023, 153 Stati chiedono un cessate-il-fuoco umanitario immediato a Gaza, nonostante il parere contrario di Washington.

In passato Washington poteva minacciare molti Stati per costringerli a conformarsi al suo volere e ad adottare le sue regole. Oggi gli Stati Uniti fanno meno paura:
• Certamente il Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti (USSOCom) può in ogni momento compiere azioni militari segrete in un qualsiasi Paese del mondo e uccidere dirigenti a suo piacimento, ma imprese di questo tipo sembrano diventare sempre più improbabili in grandi Paesi.
• Certamente il dipartimento del Tesoro può impedire relazioni commerciali con determinati Stati recalcitranti per farne crollare l’economia, al punto da affamarne la popolazione. Ma ormai la Russia e la Cina offrono mezzi per rompere l’isolamento economico.
• Certamente la gigantesca macchina d’intercettazioni dei Cinque Occhi (Australia, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Regno Unito) è in grado di rilevare e diffondere nefandezze della classe dirigente di qualunque Paese recalcitrante, ma ci sono anche politici onesti che non possono essere ricattati per danneggiare la popolazione.

Da questo punto di vista, l’elenco degli Stati che hanno votato contro il cessate-il-fuoco a Gaza è illuminante: oltre a Stati Uniti e Israele, ci sono regimi di natura sorprendente:

• Austria
Karl Nehammer è formatore in comunicazione politica. Eccelle talmente in questo campo che riuscirebbe a fare accettare qualunque cosa. Militare di carriera, ha lavorato con Washington nella formazione degli ufficiali dell’intelligence. Oggi è cancelliere di uno Stato che un tempo era neutrale.

• Guatemala
Il presidente italo-guatemalteco Alejandro Giammattei rappresenta un piccolo gruppo di capitalisti. Lotta accanitamente contro coloro che lottano contro la corruzione: incarcera procuratori, leader di associazioni di Diritti umani, nonché giornalisti troppo curiosi. Fedele alleato degli Stati Uniti, è l’unico capo di Stato latinoamericano a essersi recato a Kiev e a Taiwan.

• Liberia
Presidente della Liberia è tuttora il calciatore e cantante George Weah. Il presidente neoeletto, Joseph Boakai, non è ancora entrato in carica. Senz’alcuna esperienza politica, Weah ha scelto come vicepresidente Jewel Taylor, moglie del criminale contro l’umanità Charles Taylor.

• Micronesia
La Micronesia è stata occupata dagli Stati Uniti fino a quando il presidente Ronald Reagan ne ha accettato l’indipendenza.
Oggi è comunque uno Stato sotto tutela, alla cui difesa provvede il Pentagono.

• Nauru
Piccolo Paese di nemmeno diecimila abitanti, Nauru è diventato indipendente dall’impero britannico solo nel 1968. Alle Nazioni unite tutti sanno che il “presidente” David Adeang è opportunista e corrotto. Il voto di questo Stato è sempre a disposizione del migliore offerente.

• Papua-Nuova Guinea
La Papua-Nuova Guinea è indipendente dall’impero britannico dal 1975. Sette mesi fa, l’attuale primo ministro, James Marape, ha firmato un accordo che autorizza gli Stati Uniti a usare il territorio del Paese come base avanzata nel Pacifico. Washington ha libero accesso a tutti i porti e aeroporti, in cambio di investimenti. Quando ha spostato l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, Marape ha dichiarato: «Per noi che ci professiamo cristiani, rispettare pienamente Dio presuppone necessariamente riconoscere che Gerusalemme è la capitale universale del popolo e della nazione di Israele».

• Paraguay
L’attuale presidente, Santiago Peña, tenta di rinnovare le istituzioni del Paese tessendo le lodi della dittatura anticomunista del generale Alfredo Stroessner.

• Cechia
Probabilmente vi stupirete di trovare nell’elenco un altro membro dell’Unione europea. È perché vi siete persi l’elezione del nuovo presidente della Cechia, il generale Petr Pavel, amico personale dell’ambasciatore statunitense a Praga. Si è formato negli USA e nel Regno Unito ed è diventato presidente del comitato militare della Nato. Ex collaboratore dell’occupante sovietico, ha completamente riscritto la propria biografia, trasformandosi in moderno occidentale e usando il suo potere per allineare il Paese a Washington.

I 23 Stati che si sono astenuti sono alleati di Washington, ma non sono marionette come i Paesi che hanno votato contro. Comunque sia, gli Occidentali non hanno più la maggioranza (97 voti). Il G7 non è più un punto di riferimento.

A questo proposito non si può ignorare la situazione attuale del Giappone, dove un’inchiesta giudiziaria ha portato alla luce la corruzione generalizzata della classe politica. Dal 2018 al 2022 almeno 500 milioni di dollari sono stati versati a 99 parlamentari del Partito liberal-democratico, al potere senza soluzione di continuità da 67 anni (a parte due interruzioni durate in totale quattro anni). Questo Paese, presentato come una «grande democrazia», in realtà è una messinscena che maschera un sistema mafioso.
Come può il G7 pretendere d’incarnare e difendere nobili valori?

I Brics, dove i nuovi Paesi membri siederanno dal 1° gennaio 2024, ormai rappresentano oltre la metà dell’umanità. Lavorano per un mondo multipolare. Il loro intento, contrariamente alle ossessioni degli occidentali (la trappola di Tucidide), non è sostituire gli Stati Uniti con il duopolio Cina-Russia, ma abbandonare le regole occidentali per tornare al Diritto internazionale. Se non capite di cosa parlo, leggete il mio articolo sull’argomento: «Quale ordine internazionale?» [1]. Gran parte della pubblica opinione ignora che i membri della “comunità internazionale” (Washington e i suoi vassalli) non rispettano più la propria firma e non onorano più gli impegni assunti, a cominciare dalla risoluzione 181 [2], che prevedeva la creazione di uno stato palestinese, o, più recentemente, la risoluzione 2202, finalizzata a prevenire la guerra in Ucraina. E sono molti quelli che ignorano che le cosiddette «sanzioni» degli Occidentali sono in realtà armi da guerra e violano i principi della Carta delle Nazioni unite.

Per come è evoluta, l’assemblea generale delle Nazioni unite (Onu) si trova nella stessa situazione della Società delle nazioni (SDN) nel 1939. All’epoca, il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, modificò in profondità il progetto originario della SDN respingendo il principio dell’uguaglianza tra i popoli; l’Onu invece, pur riconoscendolo nei testi, vi contravviene di fatto, come dimostra la questione palestinese. In entrambi i casi la finalità è salvaguardare il dominio anglosassone sul mondo: dall’esterno, nel caso della SDN, dato che Washington, dopo averne modificato lo statuto, si rifiutò di aderirvi; dall’interno, nel caso dell’Onu, cui Washington ha aderito ma di cui non ha mai rispettato lo statuto. È quindi ovvio chiedersi se i BRICS riusciranno a riformare l’Onu e a costringerlo al rispetto dei principi da esso stesso enunciati o se falliranno nel tentativo di salvaguardare la pace.

In quest’ottica, l’assemblea generale non si è limitata a esigere un cessate-il-fuoco umanitario immediato a Gaza [3], ma ha preliminarmente adottato una serie di risoluzioni che pretendono l’applicazione della risoluzione 181, il cui mancato rispetto è all’origine dell’attuale disordine. In particolare essa pretende che Israele indennizzi i palestinesi per i beni che persero quando vennero espulsi 75 anni fa [4].

Traduzione
Rachele Marmetti

[1Quale ordine internazionale?”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 7 novembre 2023.

[2« Résolution 181 (II) de l’Assemblée générale des Nations Unies », ONU (Assemblée générale) , Réseau Voltaire, 29 novembre 1947.

[4« Biens appartenant à des réfugiés de Palestine et produit de ces biens », Réseau Voltaire, 7 décembre 2023.