Il tacito accordo monetario tra Washington e Pechino ormai è rotto. Negli ultimi anni la banca Goldman Sachs aveva giocato i buoni servizi per convincere il governo US ad accettare la sottovalutazione dello yuan, e convincere in cambio il governo cinese ad investire in buoni del Tesoro US. All’inizio della crisi economica negli Stati Uniti, il direttore di Goldman Sachs, Henry Paulson, era stato nominato dal presidente Bush segretario al Tesoro con qualsiasi latitudine per mantenere questo accordo. Più recentemente, il presidente Obama ha nominato il lobbista pro-cinese Gary Locke segretario al commercio per proseguire a tutti i costi questa cooperazione. Tuttavia:

 in gennaio la Cina ha interrotto gli acquisti di buoni del tesoro US, quindi li ha finalmente ripresi ma in quantità molto inferiore, a fine marzo, in cambio della rinuncia di Washington di portare la questione della sottovalutazione dello yuan nelle istituzioni internazionali.

 in marzo, il Primo ministro ed il governatore della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, perorano pubblicamente perché il dollaro non sia più la valuta di riserva e che questo ruolo cada ad una valuta non nazionale emessa da un’istituzione internazionale.

 il 2 aprile, in occasione del G20, gli Stati Uniti e la Cina istituiscono un meccanismo di concertazione in materia d’economia e di politica estera. Lungi da rilanciare il tacito accordo tra i due capitali, quest’iniziativa ha piuttosto dato l’impressione della ricerca di una separazione in forma amichevole.

 in aprile, le autorità cinesi annunciano che, a causa della crisi negli Stati Uniti, gli scambi cino-americani si sono abbassati del 6,8% in un anno, mentre gli investimenti US in Cina sono caduti del 19,4%.

 il 24 aprile, la Banca centrale cinese indica di aver quasi-raddoppiato le sue riserve auree. Detiene 1.054 tonnellate del metallo prezioso, cosa che la mette al 5° posto mondiale in materia, mentre le sue riserve in eredità ammontano a 1.946 miliardi di dollari, cosa che la mette al 1° della fila mondiale. Di queste liquidità - la cui parte esatta in dollaro non è conosciuta- trasforma 95 miliardi di dollari in valute diverse in occasione di scambi con partner vari (Bielorusia, Malesia, Argentina…).

 il 26 aprile, la delegazione cinese alla conferenza annuale del FMI e della Banca mondiale interviene con insistenza per accelerare il processo di riforma di queste istituzioni e limitare il diritto di voto degli USA a profitto dei paesi emergenti.

 il 13 maggio, dei parlamentari US, sostenuti dai sindacati, accusano la Cina di manipolare i suoi tassi di cambio. Depositano una proposta di legge intesa a modificare d’autorità il tasso di cambio del dollaro con lo yuan. Benché il segretario al Tesoro abbia disapprovato la loro sollecitazione, l’iniziativa appare come una minaccia dell’amministrazione Obama nei confronti di Pechino.

 il 18 maggio, la Cina ed il Brasile dichiarano di rinunciare al dollaro per i loro scambi bilaterali. Pechino è diventato il primo partner commerciale di Brasilia, davanti a Washington.

Le autorità cinesi si sono dotate di una strategia a lungo termine che mira a sviluppare il sistema bancario nazionale, aumentare il mercato obbligazionario interno e, in definitiva, liberalizzare gli scambi monetari. Sperano di fare di Shanghai uno dei più importanti luoghi borsistici mondiali all’orizzonte del 2020 e ritengono che nel 2030 l’economia cinese avrà superato quella degli Stati Uniti.

Articolo tradotto per Risorsetiche.it da Damir.