Se si considera la guerra in Siria non un avvenimento a sé stante, bensì l’esito d’un conflitto mondiale durato un quarto di secolo, è d’obbligo interrogarsi sulle conseguenze della fine delle ostilità, ormai prossima. L’epilogo di questa guerra segna la disfatta di un’ideologia, quella della globalizzazione e del capitalismo finanziario. Le nazioni che non l’hanno capito, soprattutto dell’Europa occidentale, si emargineranno da sole dal resto del mondo.
Le guerre mondiali non finiscono semplicemente con un vinto e un vincitore: il loro esito traccia i contorni di un nuovo mondo.
La prima guerra mondiale si è conclusa con la sconfitta degli imperi tedesco, russo, austroungarico e ottomano. La fine delle ostilità è stata suggellata dalla nascita di un’organizzazione internazionale, la Società delle Nazioni (SDN), incaricata di eliminare la diplomazia sotterranea e di regolare i conflitti tra gli Stati membri per mezzo dell’arbitraggio.
La seconda guerra mondiale si è conclusa con la vittoria dell’Unione Sovietica sul Reich nazista e sull’Impero del Giappone dell’hakkō ichi’u [1], cui ha fatto seguito una rincorsa degli Alleati per occupare le spoglie della Coalizione vinta. Ne è nata una nuova struttura, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), incaricata di prevenire nuove guerre impostando il diritto internazionale attorno a una duplice legittimazione: l’Assemblea Generale, dove ogni Stato conta uno, indipendentemente dalle dimensioni, e il Consiglio di Sicurezza, direttorio formato dai cinque principali vincitori.
La guerra fredda non è stata la terza guerra mondiale. Non si è conclusa con la sconfitta, bensì con l’implosione dell’Unione Sovietica. Non ha dato origine a nuove istituzioni e gli Stati dell’ex Unione Sovietica sono stati assorbiti da organizzazioni preesistenti.
La terza guerra mondiale è iniziata in Jugoslavia, è proseguita in Afghanistan, Iraq, Georgia, Libia, Yemen, e ora sta per concludersi in Siria. Il campo di battaglia è stato circoscritto ai Balcani, al Caucaso e a quello che ormai viene chiamato Medio Oriente Allargato. È costata la vita a tante popolazioni mussulmane e cristiano-ortodosse, senza troppo dilagare nel mondo occidentale. Dopo il vertice Putin-Trump di Helsinki, questo conflitto mondiale ora sta finendo.
Le profonde trasformazioni che hanno modificato il mondo negli ultimi 26 anni hanno trasferito parte del potere dei governi ad altre entità, amministrative e private, e viceversa. Si è visto, per esempio, un esercito privato, Daesh, proclamarsi Stato sovrano. Nonché il generale David Petraeus organizzare, quando era a capo della CIA, il più vasto traffico d’armi della storia e, dopo le dimissioni, proseguirlo in nome d’una società privata, il fondo speculativo KKR [2].
Questa situazione può essere descritta come scontro tra una classe dirigente transnazionale, da un lato, e governi responsabili di fronte ai governati, dall’altro.
Diversamente da quel che vuol far credere la propaganda, che addossa le cause delle guerre a circostanze contingenti, i conflitti hanno radici in rivalità e ambizioni profonde e d’antica data. Occorrono anni prima che gli Stati si ergano gli uni contro gli altri. È spesso è solo con il tempo che possiamo comprendere i conflitti che ci divorano.
Per esempio, pochissimi hanno capito quel che stava accadendo con l’invasione giapponese della Manciuria (1931); ci è voluta l’invasione tedesca della Cecoslovacchia (1938) per comprendere che le ideologie razziste avrebbero condotto alla seconda guerra mondiale. E sono rari quelli che hanno capito sin dalla guerra di Bosnia-Erzegovina (1992) che l’alleanza tra NATO e islam stava per aprire la via alla distruzione del mondo mussulmano [3].
Nonostante i lavori di storici e giornalisti, ancor oggi molti non hanno preso coscienza dell’enormità della macchinazione di cui tutti siamo stati vittime. Costoro si rifiutano di ammettere che la NATO coordinava truppe ausiliarie saudite e iraniane sul continente europeo. Eppure, è un fatto incontestabile [4].
Si rifiutano anche di ammettere che al Qaeda, accusata dagli Stati Uniti di aver compiuto gli attentati dell’11 settembre, ha combattuto poi agli ordini della NATO in Libia e Siria. Eppure, è un fatto incontestabile [5].
Il piano iniziale, che prevedeva di far ergere il mondo mussulmano contro il mondo ortodosso, si è modificato strada facendo. Lo «scontro di civiltà» non c’è stato. L’Iran sciita si è rivoltato contro la NATO, di cui era al servizio in Jugoslavia, e si è alleato alla Russia ortodossa per salvare la Siria multiconfessionale.
Dobbiamo aprire gli occhi sulla storia e prepararci all’alba di un nuovo sistema mondiale dove alcuni amici di ieri potrebbero diventare nostri nemici, e viceversa.
A Helsinki, l’accordo con la Federazione di Russia non è stato concluso dagli Stati Uniti, bensì dalla Casa Bianca: il nemico comune di Putin e di Trump è un gruppo transnazionale che esercita un potere negli Stati Uniti. Ritenendo di essere lui, e non il presidente eletto, il rappresentante degli USA, questo potentato non ha esitato ad accusare immediatamente il presidente Trump di tradimento.
Questo gruppo transnazionale è riuscito a convincerci che le ideologie sono morte e che la Storia è finita. Ha presentato la globalizzazione, ossia la dominazione anglosassone per mezzo della diffusione della lingua e dello stile di vita americano, come conseguenza dello sviluppo delle tecniche di trasporto e di comunicazione. Ci ha assicurato che un sistema politico unico, la democrazia (ossia il «governo del Popolo, da parte del Popolo, per il Popolo»), sarebbe stato ideale per tutti gli uomini e che era possibile imporlo ovunque con la forza. Infine, ha presentato la libera circolazione delle persone e dei capitali come la soluzione di tutti i problemi di manodopera e d’investimento.
Tuttavia, queste asserzioni, che noi tutti accettiamo nella vita di ogni giorno, non resistono un solo minuto alla riflessione.
Dietro queste menzogne, questo gruppo transnazionale ha sistematicamente eroso il Potere degli Stati e accaparrato ricchezze.
Lo schieramento che sta per uscire vincitore da questa lunga guerra difende invece l’idea che, per scegliere il proprio destino, gli uomini devono organizzarsi in Nazioni, definite in nome di un territorio, di una storia o d’un progetto comune. Sostiene quindi le economie nazionali contro la finanza transnazionale.
Abbiamo appena assistito alla Coppa del Mondo di calcio. Se l’ideologia della globalizzazione avesse vinto, avremmo dovuto sostenere non solo la squadra della nostra nazione, ma anche quella di altri Paesi, in ragione dell’appartenenza a strutture sovranazionali comuni. Per esempio, belgi e francesi avrebbero dovuto sostenersi reciprocamente, agitando bandiere dell’Unione Europea. Ma a nessun tifoso è venuta l’idea di farlo. È un indice che serve a misurare il fossato che separa, da un lato, la propaganda che ci propinano e che ripetiamo, e, dall’altro, il nostro comportamento spontaneo. Nonostante le apparenze, la vittoria superficiale dell’ideologia della globalizzazione non ha modificato quello che davvero siamo.
Non è evidentemente un caso che la Siria, dove migliaia di anni fa fu pensata e attuata l’idea di Stato, sia la terra su cui questa guerra si conclude. Ed è perché sono sostenuti da un vero Stato, che mai ha smesso di funzionare, che Siria, popolo siriano, esercito, e suo presidente hanno potuto resistere alla più gigantesca coalizione della storia, formata da 114 membri delle Nazioni Unite.
[1] L’hakkō ichi’u (gli otto angoli del mondo sotto un unico tetto) è l’ideologia dell’Impero giapponese: la superiorità della razza nipponica e il suo diritto a dominare l’Asia.
[2] “Miliardi di dollari in armi contro la Siria”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 21 luglio 2017.
[3] Les Dollars de la terreur : Les États-Unis et les islamistes, Richard Labévière, Grasset, 1999.
[4] Wie der Dschihad nach Europa kam. Gotteskrieger und Geheimdienste auf dem Balkan, Jürgen Elsässer, Kai Homilius Verlag, 2006. Version française : Comment le Djihad est arrivé en Europe (préface de Jean-Pierre Chevènement), Xenia, 2006.
[5] Sous nos yeux. Du 11-septembre à Donald Trump, Thierry Meyssan, Demi-Lune 2017.
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