Avrete sentito parlare spesso del Patto di non aggressione tedesco-sovietico firmato il 23 agosto 1939. Quel giorno Adolf Hitler e Joseph Stalin, «uniti come due piselli in un baccello» – come ce li descrivono i media ufficiali occidentali – si sono “spartiti” l’Europa dell’Est, dal Mar Baltico al Mar Nero, spalancando la porta alla Seconda guerra mondiale. In questo modo sarebbe stato piantato un coltello nella schiena di Francia e Inghilterra, sedicenti democrazie ma in realtà i due più potenti imperi coloniali mondiali.

Per rendervi ancora più difficile dimenticare questa data, casomai la propaganda dei media non bastasse, il 23 agosto è stato dichiarato “Giornata europea per la commemorazione delle vittime dello stalinismo e del nazismo”, più comunemente chiamata “Giornata europea della memoria”. Nel 2008 il Parlamento europeo ebbe l’idea geniale di «commemorare, con dignità e imparzialità, le vittime di tuti i regimi totalitari e autoritari». E così, dal 2009, ogni anno si celebra questa Giornata. L’iniziativa è stata concepita e portata avanti da diversi schieramenti di centro-destra del Parlamento europeo e dall’assemblea parlamentare della NATO (dunque dagli Stati Uniti). E non è certo una coincidenza che nel 2009 l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea), riunita in Lituania, abbia pubblicato una risoluzione in cui attribuisce all’Unione Sovietica e alla Germania nazista «pari responsabilità nello scoppio della Seconda guerra mondiale». Questa risoluzione non si basa sui fatti storici degli anni Trenta, ma non è altro che un tentativo di riscrivere la storia. Naturalmente, questa dimostrazione di demagogia antistalinista e antisovietica persegue in realtà un altro fine: attaccare la Federazione russa e Vladimir Putin, bersaglio favorito dei russofobi occidentali.

Se l’Europa avesse davvero voluto ricordarsi di come la Seconda guerra mondiale aveva avuto inizio, avrebbe dovuto scegliere una data più appropriata. Io propongo il 30 settembre 1938, giorno in cui, a Monaco, il primo ministro britannico Neville Chamberlain e l’omologo francese Édouard Daladier hanno incontrato Hitler e il suo fedele servo Benito Mussolini per smembrare la Cecoslovacchia. Non erano presenti né diplomatici cecoslovacchi né diplomatici russi; Hitler non li aveva voluti. Il Führer pretese per sé il territorio dei Sudeti, abitato in maggioranza da tedeschi, pretestando il loro diritto all’autodeterminazione, ma con il vero scopo di distruggere la Cecoslovacchia (che rappresentava un ostacolo alle sue ambizioni di dominio in Europa) e isolare l’Unione sovietica, alleata della Cecoslovacchia.

In realtà l’Unione Sovietica stava facendo tutto ciò che poteva per mantenere la sicurezza in Europa e sostenere la resistenza della Cecoslovacchia alla Germania nazista. Erano Francia e, soprattutto, Gran Bretagna che cercavano di evitare di affrontare Hitler. La Francia si mostrava debole. Il suo ministro degli Esteri, Georges Bonnet, riteneva che la Francia non fosse in grado di affrontare una guerra e temeva una disfatta che avrebbe gettato il Paese nelle braccia di una rivoluzione comunista. Trotsky , il nemico giurato di Stalin, era solito dire che la spesso la guerra era madre della rivoluzione. Bonnet, e con lui molti suoi colleghi, la pensavano allo stesso modo.

Chamberlain era meno codardo però era determinato a non lasciarsi trascinare in una guerra per difendere uno uno Stato senza futuro né vitalità come la Cecoslovacchia . Secondo Bonnet, la Gran Bretagna non vedeva nella Cecoslovacchia altro che un assemblaggio di «pezze e stracci cuciti insieme dal Trattato di Versailles (…) Nessuno deve morire per questo paese». Chamberlain mirava a raggiungere un’intesa con Hitler, la Cecoslovacchia rappresentava il modico prezzo da pagare per concluderla. Ai capi dell’opposizione della Camera dei Comuni, Chamberlain descrisse Hitler come «uomo rispettabile» che, una volta ottenuto il territorio dei Sudeti, avrebbe contribuito a mantenere la pace. Ai dubbi dell’opposizione Chamberlain aveva replicato con irritazione: «Ho incontrato Hitler e ho fiducia in lui». Parole prive di senso, come si poté ben presto constatare quando, una volta amputata di una parte del proprio territorio, dopo pochi mesi, nel marzo 1939, la Cecoslovacchia si dissolse.

Chamberlain considerava l’alleanza con l’Unione Sovietica per combattere la Germania nazista l’ultima soluzione cui ricorrere, o addirittura una non-soluzione. Un’alleanza con Hitler era molto più allettante. Allearsi con l’URSS contro la Germania avrebbe significato la guerra. «Una guerra preventiva», la definiva Bonnet, un uomo senza coraggio che durante la crisi di Monaco perse ogni contegno.

«È la guerra che volete!» gridavano all’unisono i Tory e le destre europee contro quelli che cercavano di organizzare una resistenza all’aggressione tedesca. Stalin comprese il messaggio. Preso atto che Gran Bretagna e Francia esitavano a organizzare una difesa comune contro il nazismo, nel 1939 concluse un accordo con Hitler. Monaco era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso; il Patto di non aggressione tedesco-sovietico ne fu diretta conseguenza. Anche gli accordi di Monaco e il Patto tedesco-sovietico erano «come due piselli nel baccello». All’epoca, molti gridarono la loro rabbia perché Stalin era riuscito laddove l’anno precedente, a Monaco, Francia e Inghilterra avevano fallito. Si trattava di una tattica del “si salvi chi può” che, a lungo andare, non si rivela mai una buona strategia, come poté constatare lo stesso Stalin a giugno 1941.

Numerosi storici hanno tentato di trovare una giustificazione al mercimonio di Chamberlain, costato il dissolvimento della Cecoslovacchia. La Gran Bretagna, dicono costoro, non era pronta per la guerra e doveva guadagnare tempo. Devo riconoscere i meriti di questi difensori di Chamberlain: per ristabilirne la reputazione hanno svolto ricerche ponderose e fatto colare fiumi d’inchiostro. Tuttavia io credo che non ci siano riusciti. I detrattori di Chamberlain avevano ragione. All’inizio del 1939, si poteva leggere sul Manchester Guardian che l’atteggiamento conciliante dei britannici era «un piano machiavellico che consisteva nel comperare i nemici vendendo gli amici».

Se c’è uno Stato che merita di essere condannato per aver sabotato negli anni Trenta la sicurezza in Europa, questo è la Gran Bretagna e non l’Unione Sovietica. I britannici rifiutarono le proposte sovietiche di un’alleanza antinazista e impedirono ai francesi di migliorare i loro rapporti con Mosca. E si sa bene che la Francia si è sempre comportata e ancora si comporta da Stato satellite del mondo anglosassone: a quel tempo della Gran Bretagna, ai giorni nostri degli Stati Uniti.

Oggi tutto è cambiato senza che in realtà nulla sia cambiato. Il fascismo era un’ideologia che nel periodo fra le due guerre seduceva le élite capitaliste, terrorizzate dal socialismo e dall’URSS. Dopo la Seconda guerra mondiale il fascismo cominciò a esercitare il suo fascino sulle élite occidentali “liberali”, inizialmente in modo clandestino, poi in modo esplicito. L’Unione Europea, in pieno atteggiamento russofobo, ha condannato «lo svolgimento di manifestazioni pubbliche che glorificano il passato nazista o staliniano», ma, non si sa come, il pisello nazista è caduto dal baccello. Nei Paesi baltici, nelle strade si manifesta in memoria dei soldati SS che combatterono l’Unione Sovietica a fianco della Germania nazista. E che dire dell’Ucraina? Stepan Bandera, collaboratore nazista, e Hitler sono celebrati senza il minimo pudore. Le camicie nere dell’estrema destra ucraina sono l’avanguardia della giunta di Kiev, che ha rovesciato il governo legittimo ucraino con un colpo di Stato sostenuto dall’Occidente. Con cognizione di causa si può sostenere che l’Ucraina è uno stato fascista. Ma è un’evidenza che l’Unione Europea e gli Stati Uniti negano. Secondo loro, a Kiev ci sono solo poche “melea marce”: come dice il proverbio, non c’è peggior cieco di colui che non vuole vedere.
Se fossi membro del parlamento europeo proporrei di commemorare il 30 settembre 1938, giorno in cui l’Occidente ha svenduto la Cecoslovacchia. È una verità a tutt’oggi dura da accettare ed è per questo che i media ufficiali non ne parlano.

Il regime cecoslovacco dell’epoca, unico in Europa centrale e orientale, era realmente democratico. I Paesi baltici rigurgitavano di simpatizzanti fascisti e di antisemiti. Che ne è stato dei “valori occidentali”? Con ogni evidenza questi valori sono falsi, a meno che essi non siano sinonimo di ipocrisia, del “due pesi, due misure” e di russofobia. Naturalmente, se fossi parlamentare europeo verrei giudicato svitato o agente di Putin. E come storico susciterei la stessa reazione. Ma è un rischio che sono disposto a correre.

Traduzione
Rachele Marmetti
Fonte
Strategic Culture Foundation (Russia)