Il colpo di Stato del 13 maggio 1958

1958. Ormai da quattro anni l’Algeria è teatro di una nuova guerra coloniale. Per annientare il movimento di liberazione nazionale, i governi di sinistra mobilitano l’esercito, compresi riservisti e reclute. Quattrocentomila uomini sono mandati a combattere nel vano tentativo di trovare una soluzione militare a un problema politico. Dopo la sconfitta di Dien Bien Phu e la conseguente perdita dell’Indocina; dopo l’indipendenza del Marocco e della Tunisia, anche l’indipendenza dell’Algeria sembra inevitabile. In Francia, l’opinione pubblica è nettamente favorevole, ma non ci sono possibilità di formare un governo che disponga alla Camera dei deputati di una maggioranza sufficiente ad approvarla. Lentamente si fa strada l’idea di un nuovo Fronte popolare. Un’alleanza di radicali, socialisti e comunisti garantirebbe la stabilità necessaria a porre fine alla guerra.

A Washington, il Consiglio nazionale per la sicurezza (NSC, National Security Council: il sito della Casa Bianca ne propone una cronistoria) guarda con preoccupazione a questa eventualità. In piena guerra fredda, l’entrata dei comunisti nel governo francese rappresenterebbe una minaccia per l’equilibrio politico dell’Europa occidentale e potrebbe portare alla destabilizzazione di altri Stati alleati. La sicurezza del comando dell’Alleanza atlantica, sito in territorio francese, verrebbe direttamente minacciata. E anche il ruolo strategico della forza di dissuasione nucleare francese, all’epoca ancora in costruzione, verrebbe compromesso, e proprio nel momento in cui, grazie al trasferimento delle tecnologie americane, sta per concretizzarsi la prima esplosione nucleare sperimentale. Aprendo la strada all’indipendenza, sarebbe inevitabile l’ascesa al potere in Algeria del filosovietico FLN, unica forza politica del Paese, con il conseguente rischio di vedere l’URSS autorizzata a installare in Nordafrica missili strategici puntati sull’Europa occidentale.

Applicando il National Security Act del 26 luglio 1947 [1] «nell’interesse della pace mondiale e nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti», il Consiglio nazionale per la sicurezza studia le possibili azioni segrete per impedire l’ingresso dei comunisti nel governo francese e il controllo dell’Algeria da parte dei marxisti dell’FNL. Le informazioni raccolte dalla Central Intelligence Agency (CIA) riferiscono dell’ostilità degli ufficiali superiori francesi all’idea di “abbandonare” l’Algeria e dello sfinimento dell’opinione pubblica. I rapporti del “dipartimento dei tiri mancini”, soprannome della Direzione della pianificazione, riferiscono che gli agenti stay-behind reclutati in Francia, formati e addestrati dai servizi segreti dell’Alleanza atlantica, sono in grado di provocare un colpo di Stato militare. Il Dipartimento di Stato giudica però che l’instaurazione di una dittatura militare in Francia metterebbe a repentaglio il mito dell’Occidente come patria del “mondo libero”. Dopo una serie di consultazioni, il Dipartimento di Stato emette il seguente verdetto: un colpo di Stato potrebbe essere risolutivo solo se l’ufficiale o la giunta al potere autolimitassero la propria dittatura e ristabilissero rapidamente le libertà democratiche, all’interno di un regime rinnovato da cui escludere i comunisti. Per dare un orientamento politico alla giunta, viene proposto un generale nazionalista, Charles De Gaulle. Il presidente Eisenhower l’ha conosciuto quando da Londra dirigeva il governo in esilio della Francia libera. Nonostante gli anglo-americani abbiano escluso De Gaulle dalle conferenze di Teheran e di Yalta e non lo abbiano coinvolto nello sbarco, gli Stati Uniti hanno riconosciuto in extremis il governo in esilio e hanno autorizzato il generale a entrare a Parigi prima di loro, mettendolo poi a capo del governo provvisorio con lo scopo di tenere sotto controllo la pressione dei comunisti. Ma le urne cacciano rapidamente dal potere De Gaulle, che ancora non aveva ancora costruito la propria leggenda. A dicembre 1947 gli americani considerano di nuovo la possibilità di utilizzarlo. John F. Dulles [2] gli fa visita per sondarne la disponibilità a partecipare a un eventuale colpo di Stato, nell’ipotesi di un trionfo elettorale dei comunisti. Il generale De Gaulle si ritira allora a Colombey-les-Deux-Églises ad aspettare il suo momento di gloria.

Il generale Dwight D. Eisenhower autorizza l’esecuzione del piano elaborato dall’NSC (documento 5721/1 dell’NSC emesso nel 1957 [3]) e preparato dal Dipartimento per la pianificazione (ex OPC). Conformemente al protocollo segreto del Trattato del Nord-Atlantico, il presidente degli Stati Uniti fa informare il presidente del Consiglio francese, il radicale Félix Gaillard, che l’Alleanza intende mettere in atto ogni mezzo necessario per sbarrare la strada a un nuovo Fronte popolare. Viene incaricato della missiva un rappresentante speciale, il vice sottosegretario agli Affari politici, Robert D. Murphy. L’11 aprile 1958 Murphy viene ricevuto a Parigi all’Hôtel de Matignon (residenza del primo ministro, ndt). È accompagnato dall’ambasciatore Amory Houghton. Consegna a Félix Gaillard una lettera sulla situazione in Africa del Nord [4], cui aggiunge un messaggio verbale. È poco probabile che il capo del governo abbia capito appieno il significato della comunicazione; forse Gaillard si aspettava semplicemente un’operazione per destabilizzare il Partito comunista. Il 29 e 30 aprile 1958 gli Stati Uniti convocano una prima riunione dell’Allied Coordination Committee (ACC) [5] nel corso della quale, secondo il resoconto ufficiale, «gli Stati Uniti sviluppano il loro punto di vista sulla politica dello stay behind in materia di interessi comuni». In sintesi, gli Stati Uniti riorganizzano la rete e informano i loro alleati che gli interessi comuni dell’Alleanza esigono un intervento in Francia dello stay-behind.

Tempo di complotti

Nel 1957-58 gli stay-behind preparano l’ascesa al potere di De Gaulle provocando una serie di complotti [6]. Il più noto è il “Grand O”, diretto dal generale Cherrière (CR), nome in codice “Grand A”, fondatore delle Unità territoriali che hanno a disposizione ventiduemila riservisti. Il generale Lionel-Max Chassin, presidente dell’Associazione veterani d’Indocina e coordinatore della difesa aerea della NATO per il Centro Europa [7], assume il nome in codice di “Grand B”. Chassin è anche uno dei responsabili del “Brain Trust Action”, il braccio operativo della rete stay-behind. I congiurati sono reclutati dall’immancabile dottor Martin, alias “Grand V”, figura storica della Cagoule [8]. Tra loro ci sono sindacalisti e ufficiali di estrema destra, ciascuno dei quali dispone nelle fila dell’esercito di una propria rete. Il sergente Yves Gignac, segretario generale dell’Associazione veterani d’Indocina, attinge da un’organizzazione che conta ventottomila membri. Il giovane colonnello Robert Martel può invece contare sui militanti dell’Unione francese nordafricana (UFNA), di cui è segretario generale. Il complotto dispone anche di un informatore ad Algeri, l’occultista Rolande Renoux. Agli occhi dei cospiratori il “Grand O” si propone di mettere l’esercito al potere per salvare l’Impero francese.

Ciò che questi ufficiali superiori temono è una capitolazione politica – come quella avvenuta, secondo loro, in Indocina – che li possa privare della vittoria. Vogliono ottenere pieni poteri in Algeria e mezzi militari illimitati per schiacciare la ribellione. Il generale Jacques Massu raduna attorno a sé quelli che reputano il generale Charles De Gaulle l’unico capace di una politica di tale fermezza. De Gaulle non si mostrò forse spietato quando, a maggio 1945, ordinò di massacrare decine di migliaia di nordafricani che manifestavano a Sétif, convinti di essersi guadagnati la libertà perché si erano battuti al suo fianco contro l’Asse?

Il tenente colonnello Jacques Foccart provvede al coordinamento tra “il” Generale e i diversi gruppi di cospiratori. Il senatore Michel Debré sovrintende alla propaganda, appoggiandosi soprattutto al settimanale popolare Carrefour di Émilien Amaury e Jean Dannemüller [9] e al bollettino Le Courrier de la Colère di Jean Mauricheau-Baupré. Il ministro della Difesa Jacques Chaban-Delmas provvede a dissimulare l’attività degli stay-behind, divenuta ormai vistosa.

Per gli americani il momento è giunto di passare all’offensiva. Il 30 aprile 1958 Michel Debré dichiara: «È il momento in cui non si può fare altro che reagire e, sin dai secoli della grandezza della Repubblica di Roma, sappiamo cosa significa reagire. Il governo di Salute pubblica è l’unica forma moderna che possono assumere quei meccanismi molto antichi, grazie ai quali la Roma libera e fiera si è rivolta, in quei tempi di crisi, a un Cincinnato [10] per affidargli, per un tempo limitato, poteri eccezionali che gli hanno consentito di mettere in atto quella politica che i meccanismi abituali, per debolezza interna o per gravità dei pericoli esterni, non erano in grado d’imporre» [11]. Al giornalista del New York Times che gli chiede se è disposto a impadronirsi del potere, Charles De Gaulle risponde: «Perché no? Nella mia vita ho già realizzato due colpi di Stato. Nel giugno 1940, quando ho fatto di Londra la sede del nostro movimento, ho fatto un colpo di Stato. E, nel settembre 1944, a Parigi ho fatto un colpo di Stato… Ho costituito un governo, ero io il governo».

Il colpo di Stato inizia ad Algeri

Il 9 maggio 1958 il segretario di Stato, John F. Dulles, in viaggio da Berlino a Washington, fa uno scalo di poche ore a Parigi, non già per incontrare le autorità francesi, ma per una riunione di lavoro con diplomatici e generali americani di stanza in Europa: trasmette loro il via libera all’operazione. Lo stesso giorno il generale Raoul Salan lancia un avvertimento al governo con questo telegramma: «La stampa lascia intendere che l’abbandono dell’Algeria sia il vero obiettivo di un processo diplomatico che comincerebbe con negoziati per il cessate-il-fuoco. […] Unanimemente l’esercito francese considererebbe oltraggioso l’abbandono dell’Algeria, che appartiene al patrimonio nazionale. Non si può sapere a priori quale reazione disperata l’esercito potrebbe avere».

Il 13 maggio, sulla Piazza del Foro di Algeri una manifestazione di coloni, organizzata in omaggio a tre prigionieri giustiziati dal FLN, volge in insurrezione.

Tra la folla si possono riconoscere due specialisti della sovversione, arrivati direttamente da Parigi: Delbecque e Ousset. Léon Delbecque rappresenta il ministro della Difesa, Jacques Chaban-Delmas, dal cui gabinetto è incaricato della missione. Jean Ousset [12], considerato da molti ufficiali superiori un maître à penser, è inviato ad Algeri dal Segretario generale permanente della Difesa nazionale, Geoffroy Chodron de Courcel [13]. Ousset è anche fondatore della Cité catholique e rappresentante politico in Francia dell’Opus Dei [14].

La folla assalta e saccheggia il Palazzo del Governo. Demolisce la statua della Repubblica. I generali Jacques Massu e Raoul Salan, che partecipano al complotto, si mettono alla testa degli insorti: fanno parte dei “duri” che saranno al comando nella “battaglia d’Algeri” e generalizzeranno l’uso della tortura contro l’FLN. Dal balcone del Palazzo del governo i generali annunciano la formazione di un Comitato di salute pubblica, una sorta di governo provvisorio. Dopo un primo momento di esitazione, Salan rinuncia di fatto alla leadership politica e rivolge un appello a De Gaulle. Tra i 34 membri del Comitato di salute pubblica troviamo i già citati Robert Martel e Léon Delbecque, Pierre Lagaillarde, Joseph Ortiz, Claude Dumont e il colonnello Roger Trinquier, che svolgeranno a lungo un ruolo di primo piano. La sera stessa Massu telegrafa al presidente della Repubblica, René Coty: «Io, generale Massu, annuncio creazione Comitato salute pubblica civile e militare ad Algeri, sotto mia presidenza, causa gravità eccezionale e necessità assoluta mantenimento ordine per evitare ogni spargimento di sangue. Esigiamo formazione a Parigi governo di Salute pubblica, unico capace di salvare l’Algeria, parte integrante della nazione».

Il presidente Coty gli risponde: «Guardiano dell’unità nazionale, mi appello al suo patriottismo e buonsenso affinché, alle prove della patria, non venga ad aggiungersi la divisione dei francesi di fronte al nemico […] Le ordino di adempiere al suo dovere sotto l’autorità del governo della Repubblica francese».

Il 15 maggio la folla in piazza scandisce «L’esercito al potere». Il generale Raoul Salan scopre le carte rispondendo alla folla dal balcone del Palazzo: «Viva la Francia! Viva l’Algeria francese! Viva il generale De Gaulle!» A Parigi, i partigiani del Comitato di salute pubblica, gollisti e fascisti del Partito patriota rivoluzionario (PPR) e della Giovane nazione [15], sfilano gli uni accanto agli altri sui Campi Elisi. Dietro, il deputato Jean-Marie Le Pen apre un corteo nel quale si mescolano croci di Lorena e croci celtiche. Tutti gridano «Algeria francese!», «I deputati nella Senna!», «De Gaulle al potere!». Il servizio d’ordine è svolto dall’Associazione per l’appello al generale De Gaulle nel rispetto della legalità repubblicana (sic), una struttura messa in piedi dallo stay-behind [16].

Il 16 maggio il governo di Pierre Pflimlin, appena formato, non osa sanzionare i generali d’Algeri. Si limita a prevenire il contagio nell’esercito mettendo da parte il più possibile i meno lealisti degli ufficiali superiori. Decreta la dissoluzione delle leghe fasciste che hanno sfidato il governo, Giovane nazione e PPR. Alcuni dirigenti sono fermati e messi in carcere. Altri entrano in clandestinità. L’avvocato Jean-Baptiste Biaggi e Alain Griotteray, rispettivamente presidente e segretario del PPR, fuggono in Spagna da dove, su un aereo noleggiato per loro dal “caudillo” Franco, raggiungono Algeri. Riescono a entrare in contatto con Massu, ma sono allontanati da Salan che non vuole condividere il proscenio. Anche i deputati Jean-Marie Le Pen e Jean-Maurice Demarquet tentano di raggiungere Algeri ma Salan allontana pure loro. Sulla via del ritorno fanno scalo ad Andorra per incontrare uno dei capi degli stay-behind, Pincemain [17]. Nel frattempo il parlamento vota lo stato d’emergenza di tre mesi. Viene data facoltà ai prefetti di emettere ordinanze di divieto di circolazione e di coprifuoco; possono anche ordinare la chiusura dei luoghi di riunione e mettere agli arresti domiciliari chiunque, a loro discrezione. La stampa scritta, la televisione e la radio sono sottoposte alla censura.

Gli americani escono allo scoperto (se dévoilent)

Per De Gaulle i tempi sono maturi. In un comunicato dichiara: «Il degrado dello Stato comporta infallibilmente l’allontanamento dei popoli a esso associati, lo scompiglio nell’esercito combattente, lo smembramento della nazione, la perdita dell’indipendenza. Da dodici anni la Francia, dovendosi misurare con problemi troppo ardui per un regime di partiti, è in balìa di questo processo disastroso. In passato, l’anima più profonda del Paese mi ha dato fiducia affinché conducessi la nazione tutta intera alla salvezza. Oggi, di fronte alle nuove prove che lo aspettano, sappia il Paese che sono pronto ad assumere i poteri della Repubblica» (15 maggio 1958). L’Humanité riassume il comunicato con questo titolo in prima pagina: «De Gaulle getta la maschera. Il capo dei generali faziosi rivendica il potere personale. Abbasso la dittatura militare! Lavoratori, repubblicani di ogni tendenza politica: unitevi, agite, organizzatevi per stroncare qualsiasi tentativo di colpo di Stato! Viva la Repubblica!» (16 maggio). E il radicale Pierre Mendès-France, dalla tribuna dell’Assemblea nazionale, chiama «all’azione contro gli uomini a capo della sedizione, dei quali De Gaulle si fa garante e ai quali De Gaulle dà sostegno».

Il costruttore di aerei Marcel Dassault apre un credito al proprio procuratore, il generale Pierre Guillain de Bénouville, per le esigenze logistiche immediate. Bénouville noleggia un aereo privato in Svizzera e accompagna Jacques Soustelle ad Algeri. Ex direttore dei servizi segreti della Francia libera, Soustelle aveva acquisito grande popolarità fra i coloni nel 1955-56, quando era governatore generale dell’Algeria. Adesso, in nome di De Gaulle, vuole prendere le redini della direzione politica del Comitato di salute pubblica. Il conte Alain Le Moyne de Sérigny, direttore dell’Echo d’Alger finanzia il colpo di Stato gollista con dieci milioni di franchi.

Il generale Lionel-Max Chassin, ex coordinatore delle forze aeree dell’area centro-europa della NATO, coordina un misterioso Comitato nazionale per l’indipendenza. Su suo ordine, Comitati segreti di Salute pubblica si formano a Lione (presieduto dal generale di corpo d’armata Marcel Descour), Bordeaux, La Rochelle, Nantes, Angers, Strasburgo e Marsiglia (Charles Pasqua). Chassin chiede altresì che analoghi Comitati si costituiscano in ogni Comune e si tengano pronti a occupare le prefetture. Sempre il 16 maggio, Chassin riunisce a Lione lo stato maggiore segreto dello stay-behind. Si ignora chi abbia partecipato all’incontro. Si può però supporre che il capo di zona di Gladio, François Durand de Grossouvre [18], fosse presente. Chassin redige un ultimatum e posa per una foto per la stampa [19]. Il comunicato e la foto, in cui Chassin è ritratto tra i suoi ufficiali in uniforme francese, casco americano e mitraglietta in pugno, vengono diffusi da Ginevra. Nell’ultimatum Chassin afferma di tenersi pronto a marciare su Parigi alla testa di quindicimila uomini. Preoccupato, il governo svizzero chiede al generale Chassin di assumere l’impegno di non interrompere la via di approvvigionamento della Confederazione svizzera che passa dal corridoio del Rodano.

La notizia di un’implicazione americana nel tentativo di putsch fa il giro delle cancellerie di tutto il mondo. Il governo francese, nel panico, ne vieta la diffusione sul territorio nazionale. Tutti i giornali che riportano la notizia vengono sequestrati [20]. Un mandato di accompagnamento è emesso contro il generale Chassin che, secondo alcuni deputati, avrebbe stabilito il suo quartiere generale non lontano da Mont-de-Marsan.

Il 19 maggio De Gaulle tiene una conferenza stampa al Palazzo d’Orsay. È organizzata dagli stay-behind dell’Associazione per l’appello al generale De Gaulle nel rispetto della legalità repubblicana, la stessa che ha svolto il servizio d’ordine alla manifestazione di Le Pen ai Campi Elisi. Un giornalista chiede al generale: «Alcuni temono che, se tornasse al potere, lei attenterebbe alle libertà pubbliche». De Gaulle risponde: «L’ho mai fatto? Al contrario, le ho ripristinate quando sono state soppresse. Potete davvero credere che a sessantasette anni ambisca a iniziare una carriera di dittatore?».

L’Assemblea nazionale vacilla. Invece di esigere la destituzione e l’arresto dei faziosi, manifesta la propria paura con una generica mozione d’omaggio all’esercito e il rinnovo dei poteri speciali concessi ai militari in Algeria. Il governo tentenna. Incapace di agire, disperde le proprie forze nel tentativo di una tardiva riforma costituzionale, che dovrebbe garantire stabilità a un governo di forma collegiale, sul modello del Consiglio federale elvetico.

Antoine Pinay, membro dell’Opus Dei, fa leva sull’immagine rassicurante di cui gode presso l’opinione pubblica per fare pressione sul governo e sul presidente della Repubblica affinché vengano presi contatti con De Gaulle. Davanti all’innalzarsi del livello di pericolo, partiti e sindacati di sinistra ritrovano l’unità. Insieme riescono a mobilitare cinquecentomila persone che manifestano a Parigi. Marciano da Piazza della Nazione a piazza della Repubblica, scandendo slogan come «Stop al fascismo, no alla dittatura militare, pace in Algeria».

Il Comitato per la salute pubblica, ora consigliato da Jacques Soustelle, annuncia di voler estendere il suo potere al Sahara e dichiara di «essere fermamente deciso a formare un governo di Salute pubblica presieduto dal generale De Gaulle per promuovere e difendere una profonda riforma delle istituzioni repubblicane». Decisione che Sérigny rende esplicita sintetizzandola sul suo giornale: il Comitato sta per «rovesciare il regime corrotto».

Il 24 maggio il presidente del Consiglio, Pierre Pflimlin, si rivolge alla nazione via radio: «Ho il dovere di mettere in guardia i francesi che hanno care le libertà garantite dalle leggi della repubblica. Sediziosi cercano di trascinarci su una via che porta alla guerra civile. Per scongiurare questo pericolo non c’è che un mezzo: quello di stringersi attorno al governo che, contro ogni estremismo, contro ogni nemico della libertà, chiunque egli sia, difenderà l’ordine pubblico, la pace civile, l’unità della nazione e della Repubblica». Troppo tardi. Ogni alternativa credibile al putsch militare si è ormai dissolta. Nessuno, a destra come a sinistra, sembra più in grado di trovare una soluzione civile alla crisi.

Il 26 maggio il Comitato di salute pubblica nomina un triumvirato esecutivo composto da Massu, Soustelle e dal dottor Sid Cara, rappresentante di facciata dei mussulmani. Duecentocinquanta paracadutisti dell’XI brigata d’assalto partono da Algeri e attaccano la prefettura di Ajaccio. Sono comandati dal deputato Pascal Arrighi che, con Biaggi e Griottoray, durante l’occupazione faceva parte della Rete Orion. Arrighi è stato incaricato della missione dal generale Raoul Salan e pare ubbidire allo stato maggiore segreto del generale Lionel-Max Chassin. Ad Ajaccio i paracadutisti formano un Comitato di salute pubblica, presieduto da Pascal Arrighi e da Henri Maillot, un consigliere municipale di Ajaccio, imparentato con De Gaulle.

Al presidente Coty ormai non rimane altra scelta che raggiungere De Gaulle, in esilio volontario a Colombey-les-Deux-Églises. De Gaulle varca a sua volta il Rubicone e il 27 maggio comunica quanto segue: «Ieri ho dato il via a un regolare procedimento per costituire un governo repubblicano capace di assicurare l’unità e l’indipendenza del Paese. Conto sul fatto che questo processo proseguirà e che il Paese dimostrerà, con la calma e la dignità di cui lo so capace, di volerne il compimento (…) Mi aspetto dalle forze terrestri, navali e aeree presenti in Algeria che rimangano esemplarmente agli ordini dei loro capi. A questi capi esprimo fiducia e assicuro che mi manterrò incessantemente in contatto con loro».

L’Assemblea nazionale revoca l’immunità parlamentare a Pascal Arrighi. Contro di lui viene emesso un mandato di comparizione, ma lui si rifugia in Vaticano, condottovi dall’ambasciatore francese presso la Santa sede, René Brouillet. Qui viene ricevuto da suo fratello, monsignor Jean-François Arrighi, amministratore dei Pieux ètablissements de la France a Roma.

Il 18 maggio il governo Pflimlin prende atto della situazione e si dimette. De Gaulle si rifiuta di presentarsi alle Camere ed esige di essere investito del potere senza dibattito in parlamento. In una lettera al presidente Coty i toni di De Gaulle si fanno minacciosi: «Mi scontro con l’opposizione di una rappresentanza nazionale che agisce con determinazione. Ma, d’altra parte, sono consapevole che in Algeria e nell’esercito, qualunque cosa io abbia potuto dire o possa dire oggi, lo stato d’animo è tale che il fallimento della mia proposta rischia di rompere gli argini e di sommergere il comando (…). Coloro che, a causa di un settarismo che mi è incomprensibile, mi avranno impedito di togliere ancora una volta, quando ancora si era in tempo, la Repubblica dai guai, ne porteranno la pesante responsabilità. Quanto a me non potrò che rinchiudermi nel mio dolore fino alla morte».

In un’intervista alla stampa britannica, il generale Jacques Massu dichiara: «Spetta al generale De Gaulle decidere se l’esercito lo deve portare al potere con la forza o no» [21].

Spaventati per i disordini e lo spiegamento dell’esercito a Parigi, il 1° giugno i parlamentari conferiscono a Charles De Gaulle senza dibattito l’investitura di presidente del Consiglio. Pochi sono coloro che, come Pierre Mendés-France, vi si oppongono. Mendés-France dichiara: «Non è ammissibile un voto espresso sotto la minaccia di un’insurrezione e di un colpo di mano militare… Nonostante i sentimenti che provo per la persona e il passato del generale De Gaulle, non voterò a favore della sua investitura. Non posso votare condizionato da un’insurrezione e dalla minaccia di un colpo di mano militare. Ciascuno di noi sa che la decisione che l’Assemblea sta per prendere non è una decisione libera, che il consenso che si sta per dare è viziato».

Due giorni più tardi l’Assemblea si autoffonda: autorizzando il generale-presidente a usare poteri speciali in Algeria, gli rimette poteri costituenti e gli accorda infine i pieni poteri per sei mesi. Dal suo “trespolo” il presidente dell’Assemblea lancia, per provocazione, un tonitruante «Viva la Repubblica!» e conclude tristemente con: «Prossima seduta a data da destinarsi». La IV Repubblica è rovesciata sotto la minaccia delle armi. Il sangue non è stato versato, le spade non sono state sguainate.

Questa fotografia, che è stata censurata in Francia, è stata pubblicata dalla stampa italiana con questa didascalia: «Si apprestano a marciare su Parigi» (con chiaro riferimento alla Marcia su Roma che permise a Mussolini di prendere il potere).

La rinascita della “Francia eterna” è iniziata: De Gaulle interrompe l’operazione Resurrezione, questo il nome del complotto. Il generale d’armata Max Gelée richiama i paracadutisti che erano già decollati: non è più necessario che atterrino su Palazzo Bourbon per arrestare i principali leader della sinistra. Jacques Dauret, a sua volta, blocca i commando civili armati, pronti all’assalto e adunati intorno a Jean-Baptiste Biaggi e Alain Griotteray (PPR), ai fratelli Jacques e Pierre Sidos (Giovane Nazione), ad Alexandre Sanguinetti e al colonnello Paul Paillole (Associazione degli ex appartenenti ai servizi speciali).

De Gaulle richiama da Roma l’ambasciatore René Brouillet e lo nomina segretario generale del governo per l’Algeria, designa invece Geoffroy Chodron de Courcel ambasciatore alla NATO. Il generale sceglie come capo di gabinetto Georges Pompidou, direttore generale della banca dei fratelli Rothschild. Per dare al governo una sembianza di unità nazionale coopta Guy Mollet (SFIO) e Pierre Pflimlin (MRP), nominandoli ministri senza portafoglio.

A luglio 1958 il segretario di Stato americano, John Foster Dulles, incontra a Parigi Charles De Gaulle. Dulles esordisce rievocando il progetto di complotto preparato con De Gaulle nel 1947, un modo elegante per ricordare al suo interlocutore i comuni segreti e la disparità del rapporto. Dulles fa poi il punto della situazione e si assicura che De Gaulle abbia ben compreso cosa gli Stati Uniti si aspettano da lui, principalmente sulla questione nucleare.

Poco dopo il ritorno di Dulles, a Washington si riunisce il Consiglio nazionale per la sicurezza (NSC). Si compiace per l’ascesa al potere di De Gaulle e per il cambiamento di rotta che ne consegue. Dopo l’audizione del rapporto del generale Lauris Norstadt, il Consiglio decide di allineare la politica di sicurezza degli Stati Uniti nel Mediterraneo a quella della Francia.

Le nomine nei posti chiave

Il 4 giugno De Gaulle va ad Algeri. Qui, prendendo la parola dal balcone del Palazzo del governatore, il generale si rivolge ai coloni con il celebre «Io vi ho capiti!» «In tutta l’Algeria – prosegue – c’è una sola categoria di abitanti: ci sono solo francesi a pieno titolo». A Costantina prende esplicitamente posizione per l’Algeria francese. Ai nazionalisti algerini propone, in cambio di un impegno per lo sviluppo dell’Algeria, una «pace dei prodi». Da Tunisi i patrioti algerini gli rispondono che si batteranno fino all’indipendenza del Paese e creano, in vista dei negoziati per il ritiro delle forze coloniali, un Governo provvisorio della Repubblica algerina (GPRA).
Il Comitato di salute pubblica, che ancora non si è sciolto, fa pressione su De Gaulle perché instauri un nuovo regime, esigendo al tempo stesso la soppressione dei partiti politici. “Il” generale, geloso delle proprie prerogative, risponde seccamente e affretta l’autodissoluzione del Comitato.

Questa fotografia, che è stata censurata in Francia, è stata pubblicata dalla stampa italiana con questa didascalia: «Si apprestano a marciare su Parigi» (con chiaro riferimento alla Marcia su Roma che permise a Mussolini di prendere il potere).

Prima di rientrare nelle caserme, i militari presentano il conto. Il generale-presidente decreta: «In ragione dell’attuale ed eccezionale situazione dell’ordine pubblico in Algeria, l’autorità militare esercita i poteri normalmente assegnati all’autorità civile». Il generale Raoul Salan è promosso delegato generale del governo per l’Algeria. I vari generali e colonnelli implicati nel complotto del 13 maggio vengono messi a occupare i principali posti civili in Algeria. Così, il generale Jacques Massu è nominato prefetto d’Algeri. Dopo il generale-presidente ora abbiamo i generali-prefetti. La «pace dei prodi» è fuori questione. Salan ottiene un finanziamento supplementare faraonico, pari a centoventi miliardi di franchi, per portare avanti la guerra a oltranza. Il ministro delle Finanze, Antoine Pinay, è costretto a prelevare cinquanta miliardi di franchi di nuove imposte e a lanciare un prestito.

Commentando la strategia del terrore instaurata, il colonnello Roger Trinquier dichiara a giornalisti americani: «Dite che sono un fascista, ma noi abbiamo il dovere di rendere la popolazione docile, facile da guidare. Non possiamo vincere questa guerra se non utilizzando metodi forti. In questa guerra dobbiamo modificare atteggiamento. Dobbiamo organizzare la popolazione e mantenerla organizzata. I metodi indulgenti che abbiamo sinora messo in atto in questo Paese non ci porteranno da nessuna parte» [22].

A Parigi vengono emesse ordinanze di non luogo a procedere nei confronti dei faziosi messi in stato d’accusa dal governo Pflimlin. Pierre Sidos tratta con l’Hôtel Matignon ed è con discrezione autorizzato dal gabinetto del primo ministro a ricostituire la Giovane Nazione, cominciando con la pubblicazione di un’omonima rivista [23]. Per il momento, Sidos milita, insieme a Dominique Venner, nel Movimento popolare del 13 maggio (MP-13) del generale Chassin, che ha sede presso il domicilio del generale di divisione Jean Vézinet de La Rue. L’Associazione assembla personalità di estrema destra che hanno preso parte al complotto del 13 maggio, soprattutto i cospiratori del “Grand O”, e cerca di far loro accettare la leadership di De Gaulle. Il generale Vézinet era vicario del Segretario generale permanente per la difesa nazionale (SGPDN), Geoffroy Chodron de Courcel.

La festa del 14 luglio cessa di essere festa del Popolo per diventare festa del Popolo e dell’Esercito. Il generale Salan viene decorato con la medaglia militare e Jacques Massu viene promosso generale di divisione. I paracadutisti che avevano occupato il Palazzo del governatore ad Algeri sfilano sui Campi Elisi.

André Malraux è nominato ministro per l’Influenza francese (sic) [ministre du rayonnement français]. Jacques Soustelle, diventato ministro dell’Informazione, rimuove i dieci più importanti responsabili della Radio televisione francese (RTF) e li rimpiazza con dirigenti gollisti. L’avvocato Henry Torres, parente del generale Massu, è il nuovo direttore generale. Louis Terrenoire diventa direttore dell’informazione e del notiziario radiotelevisivi. Tutti i giornalisti sospettati di simpatizzare per il Partito comunista vengono licenziati. Alla Commissione per la stampa dell’Assemblea nazionale Jacques Soustelle dichiara che a RTF sono state finalmente soddisfatte le condizioni per un’informazione oggettiva.

Il prefetto di polizia di Parigi, Maurice Papon, organizza una repressione senza precedenti contro gli arabi e i cabili della capitale. Ecco quanto riporta l’AFP: «Innovazione questa notte: le persone fermate vengono portate in un nuovo centro di smistamento che è stato allestito al Velodromo d’inverno (…) Alle tre del mattino al Palazzo dello sport c’erano quasi duemila mussulmani algerini. Come solitamente avviene, le operazioni di controllo vengono effettuate dagli ispettori della brigata per le aggressioni e le violenze. Gli ispettori dei Renseignement Generaux procedono alla schedatura (…) Altre retate importanti avverranno nei prossimi giorni» [24].

L’avvento di un nuovo regime

Un Comitato di esperti si mette all’opera per redigere un progetto di Costituzione che rispetti le istruzioni del generale De Gaulle. Benché i lavori del comitato non vengano divulgati, e dunque nulla si sappia della futura Costituzione, il generale Jacques Massu dà l’avvio alla compagna per la sua ratifica. Al microfono di Radio Algeri commenta: «Il sistema non si incarna in un uomo o in un altro, è una modalità di governo. Rovesciare il sistema non significa sostituire degli uomini con altri uomini, occorre modificare le strutture. Per abbatterlo è di capitale importanza vincere il referendum».

Il generale-presidente inizia un viaggio nelle colonie. È accompagnato dal ministro della Francia d’Oltremare, Bernard Cornut-Gentille [25]. Ovunque vada, De Gaulle annuncia una riorganizzazione dell’Impero in una «Comunità» nella quale ciascun territorio sarà d’ora in avanti autonomo, sull’esempio del self-government del Commonwealth britannico.

I notiziari televisivi riferiscono di folle festanti che ovunque accolgono De Gaulle e salutano in lui il visionario di Brazzaville che, in un discorso del febbraio 1944, avrebbe preconizzato la decolonizzazione dell’Africa. Se adottata, la nuova Costituzione consentirà agli indigeni delle colonie di riappropriarsi della libertà e, nello stesso tempo, di continuare a beneficiare della benevolenza della Francia, associandosi a essa in seno all’annunciata Comunità. In realtà, il discorso di Brazzaville venne tenuto da De Gaulle in occasione di una conferenza di alti funzionari, il cui resoconto ufficiale recita: «Le finalità del processo di civilizzazione compiuto dalla Francia nelle colonie escludono ogni aspirazione all’autonomia, ogni possibilità di evoluzione al di fuori del blocco dell’Impero francese; non è contemplata la possibilità di costituire governi autonomi, fosse anche in un futuro lontano». Le intenzioni del generale-presidente sono chiare: De Gaulle, il macellaio di Sétif del 1945, è accompagnato nella sua tournée africana dal generale Pierre Garbay, ispettore generale delle truppe d’Oltremare, che si attribuisce il merito di aver fatto massacrare ottantanovemila malgasci in seguito all’insurrezione dell’11 giugno 1947 in Madagascar. I giornalisti sospettati di poter fornire versioni del viaggio in contrasto con l’ufficialità dei notiziari di RTF sono fermati e ricondotti in Francia. Le telecomunicazioni sono addirittura interrotte quando, durante il catastrofico scalo in Guinea, RTF non riesce a girare filmati presentabili.

Nelle le tappe del suo viaggio De Gaulle può contare sugli applausi dei borghesi locali davanti ai quali brandisce lo spettro del comunismo. Simultaneamente è costretto però ad affrontare anche manifestazioni indipendentiste. In Madagascar sottolinea: «Delle minacce pesano su tutti noi: l’anarchia e anche altri sogni di sovversione che farebbero precipitare il mondo nel caos. La Comunità serve anche a combattere tutto questo». Nelle tappe in cui sono necessari lunghi spostamenti, De Gaulle deve affrontare folle che scandiscono: «Indipendenza!». Nello stadio di Abidjan viene dispiegato durante il suo discorso un immenso striscione con questa scritta: «Generale De Gaulle, lei riconosce il nostro diritto all’indipendenza, sì o no?». A Conakry, in Guinea, subisce uno smacco cocente. Al meeting ufficiale la folla scandisce: «Indipendenza immediata!» Il presidente Sékou Touré si rivolge senza ambagi al suo ospite. «Non rinunceremo mai al nostro diritto legittimo e naturale all’indipendenza (…) Preferiamo la povertà nella libertà alla ricchezza nella schiavitù». De Gaulle accusa il colpo e tenta di reagire ricorrendo a uno sfoggio di eloquenza. Questa la conclusione del suo discorso: «Credo che la Guinea voterà “Sì” [al referendum]. Questo è ciò che penso io. A voi tocca ora riflettere». Nessun applauso, un silenzio glaciale è la risposta alle sue parole.

A Parigi, il 4 settembre il ministro del Rayonnement français, André Malraux, mette in scena l’immagine propagandistica del nuovo potere. Ad un angolo di Piazza della Repubblica vengono sistemati un palco di teatro e delle gradinate. Cinquemila notabili sono stati invitati ad assistere alla presentazione del progetto di Costituzione da parte del generale-presidente. Dopo la decorazione di ufficiali francesi meritevoli, André Malraux rievoca la Resistenza e riporta in vita le trasmissioni della BBC. «Qui Parigi, Onore e Patria. Siamo a un nuovo appuntamento con la Storia e con la Repubblica e ancora una volta ascolterete il generale De Gaulle». Il presidente del consiglio prende solennemente la parola per supplicare la Nazione di fare proprio il suo progetto di Costituzione. Il meeting è trasmesso in diretta dalle tre stazioni radio nazionali e dalla televisione che, per l’occasione, ha modificato l’orario del suo notiziario. All’esterno della piazza però centocinquantamila manifestanti che hanno risposto all’appello del Partito comunista durante il discorso di Malraux scandiscono: «No, No, No, No». E quando il presidente-generale sale in tribuna, un clamore arriva dalle vie vicine: «Il fascismo non passerà!». La polizia riceve l’ordine di disperdere la folla. Centinaia di manifestanti sono feriti. Ma nessuna eco di quanto sta accadendo giunge agli ascoltatori di RTF, solo qualche esitazione degli oratori scambiata per difficoltà tecniche.

Sin dal giorno successivo i parlamentari sono invitati a schierarsi. Lo fanno, basandosi però solo sulle parole di De Gaulle. Il testo del progetto di riforma costituzionale che sarà sottoposto a referendum verrà infatti consegnato alla stampa solo il giorno dopo. Pierre Mendès-France denuncia il ricatto permanente dei paracadutisti che mira a far accettare la nuova Costituzione senza discussione preliminare, così come, in precedenza, è stata accettata la caduta della IV Repubblica. Mendès-France sottolinea come il progetto distingua la sorte riservata all’Algeria, che continuerà ad appartenere alla Francia, da quello dei territori d’Oltremare, che dovrebbero acquisire la propria autonomia pur rimanendo associati alla Francia. E, soprattutto, Mendès-France contesta il principio del referendum che, richiedendo una risposta binaria, non permette di sviscerare le numerose opzioni contenute nel progetto.

Da parte sua il Partito comunista riesuma il progetto di Costituzione di Philippe Pétain [26] per sottolineare con disgusto quanto ha in comune con il progetto di De Gaulle.

La radio e la televisione di Stato riferiscono nei dettagli tutti gli appelli per il Sì. Collegano invece il No a una direttiva sovietica, cui il Partito comunista francese ha aderito. Oltre alla stampa comunista, solo La Dépêche du Midi del senatore radicale Jean Baylet prende posizione per il No. Una sequela di associazioni, in apparenza diverse fra loro, fiorisce a sostegno del Sì. La più chiassosa è l’Associazione nazionale per il sostegno all’azione del generale De Gaulle (nuova denominazione dell’Associazione per l’appello al generale De Gaulle nel rispetto della legalità repubblicana), animata dagli stay-behind Bernard Dupérier e Henri Gorce-Franklin. Tutte queste associazioni beneficiano di una quota nelle trasmissioni di RTF e sono coordinate in segreto dall’Associazione degli ex appartenenti ai servizi speciali, diretta dal colonnello Paul Paillole, uomo di fiducia di Jacques Soustelle. La sinistra non comunista batte in ritirata. Al seguito di Guy Mollet, la SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia, ndt) si unisce a De Gaulle. Altrettanto fa il partito radicale che, obbedendo a Félix Gaillard e alla lobby coloniale, mette in minoranza Mendès-France e Baylet.

In Algeria, è il generale Raoul Salan a sovrintendere all’Operazione Referendum. Istruzioni sono diffuse fra gli ufficiali: «È superfluo che si insista sull’interesse vitale che il successo al referendum assumerebbe per la Francia. La sconfitta comprometterebbe irrimediabilmente la politica di rinnovamento intrapresa il 13 maggio. È dunque importante che l’esercito, che in Algeria detiene i poteri civili e militari, porti avanti una propaganda elettorale per ottenere:
  una partecipazione massiccia al referendum;
  una maggioranza molto forte dei Sì.
(…) per sottomettere la popolazione mussulmana occorre innanzitutto creare e sviluppare il mito di De Gaulle» [27].

Le riunioni in favore del No vengono vietate e il materiale propagandistico sequestrato. L’esercito predispone le liste elettorali e, al momento del voto, trasporta le persone ai seggi, gestisce le urne elettorali e spoglia le schede. La buffonata è completa.

In territorio metropolitano il 79,24% dei francesi che hanno votato approva la nuova Costituzione. Nelle colonie la percentuale media dei Sì è del 94%. In Costa d’Avorio il Sì raggiunge addirittura il 99,99%. Unica ombra la Guinea. De Gaulle ha deciso di darle la libertà e di farle pagare a caro prezzo l’affronto che gli ha fatto. E nelle intenzioni del generale-presidente la Guinea sarà anche l’esempio che dissuaderà gli altri pretendenti all’indipendenza. In Guinea le elezioni non sono state controllate dall’esercito e non si è avuto notizia di frodi significative: il Sì ottiene solo il … 4,6% dei voti.

Con l’adozione della nuova Costituzione viene meno la ragione dei pieni poteri accordati dalla moritura IV Repubblica. Ma, grazie alle disposizioni transitorie previste dall’art. 92 della nuova Costituzione, i pieni poteri vengono prorogati di quattro mesi. Cioè per il tempo necessario a eleggere il primo presidente della V Repubblica e i nuovi deputati. Un collegio di grandi elettori, composto principalmente da notabili rurali, elegge con il 78% di voti presidente Charles De Gaulle. Per le lezioni legislative, il governo decreta il sistema dello scrutinio maggioritario a due turni e ritaglia le circoscrizioni elettorali a proprio vantaggio in modo tale che a un candidato gollista occorrano diciannovemila voti per venire eletto e a un candidato comunista trecentottantamila. I gollisti, che nella precedente consultazione elettorale avevano raggiunto il 4,42% dei voti, ottengono 198 deputati. La maggior parte di quelli che si erano opposti alla nuova Costituzione non entrano in parlamento; Pierre Mendès-France è battuto da un giovane membro dell’Opus Dei, Rémy Montagne. Ora che le istituzioni sono state blindate, si possono revocare i pieni poteri.

De Gaulle riorganizza la sua squadra. Michel Debré è nominato primo ministro, René Brouillet diventa direttore di gabinetto del presidente, mentre Georges Pompidou passa al Consiglio costituzionale. Geoffroy Chodron de Courcel è nominato segretario generale dell’Eliseo e il generale André Beaufre lo rimpiazza alla NATO.

Una monarchia elettiva

Al contrario della versione della storia ufficiale, la IV Repubblica non è morta perché troppo democratica, ma perché non abbastanza repubblicana. Certamente il logoramento dell’esecutivo a opera del parlamento ha causato nel governo un’instabilità che lo ha reso inadatto ad attuare grandi riforme. Sarebbe stato possibile rimediare riequilibrando i poteri per mezzo di un semplice controllo di costituzionalità del regolamento interno delle due Assemblee. Ma non c’è stata maggioranza che lo abbia fatto.

Soprattutto, la IV Repubblica non ha saputo applicare i principi universalistici cui si ispirava. Ostinatamente ha rifiutato di riconoscere l’uguaglianza dei diritti dei “popoli associati”, per esempio rinviando in continuazione la soppressione del doppio collegio elettorale in Algeria, già annunciata nel 1936 dal Fronte popolare. Ha temuto gli esiti che il suffragio universale avrebbe avuto se la maggioranza degli elettori francesi fosse diventata maggioritariamente non europea [28].

A cospetto di tali contraddizioni De Gaulle incarna la coerenza: il dominio della forza. Per conservare ancora il giogo francese sui colonizzati, il generale si prefigge di esaltare il nazionalismo e liquidare l’ideale universalistico della Repubblica. Concede una completa autonomia alle colonie, in modo tale che il principio egalitario che vige nel territorio metropolitano possa coabitare con i variegati sistemi discriminatori in vigore fuori dalla Francia, sì che lo sfruttamento economico delle colonie possa continuare. Inoltre, vuole sbarazzarsi della democrazia rappresentativa, del “regime parlamentare” che aborrisce, per instaurare un potere personalistico. Nel solco della tradizione bonapartista, pretende di conciliare nella sua persona l’inconciliabile: il contratto sociale della Repubblica e la Francia eterna dell’Ancien Régime. Così, conclude le sue allocuzioni con un paradossale: «Viva la Repubblica! Viva la Francia!».

Nell’impresa De Gaulle è oggettivamente aiutato da socialisti e comunisti che, postulando il primato dell’interesse collettivo su quello dell’individuo, non vogliono riconoscere a quest’ultimo altro che il diritto alla cittadinanza su un piano di uguaglianza, benché rivendicato in nome del “diritto dei popoli a decidere il proprio destino”.

Come hanno sottolineato tutti i commentatori dell’epoca, le istituzioni della V Repubblica di repubblicano non hanno che il nome. Del resto, come può un putsch militare, ordito per rovesciare una repubblica, dare vita a una nuova repubblica? La V Repubblica è, secondo la formula usata da Mendès-France, la consacrazione di una «monarchia non ereditaria». Peggio ancora, facendo del presidente della pseudo-repubblica anche il presidente di diritto della Comunità, la Costituzione lo rende personalmente responsabile dell’Impero, così come i re belgi erano personalmente proprietari delle colonie. Delineando la sfera di competenze della Comunità, la Costituzione definisce anche i poteri del presidente in quello che, d’ora in avanti, verrà chiamato il “campo riservato” che comprende: «la politica estera, la difesa, la moneta, la politica economica e finanziaria comune così come la politica delle materie prime strategiche. Comprende inoltre, salvo accordi particolari, il controllo della giustizia, l’insegnamento superiore, l’organizzazione generale dei trasporti esterni e comunitari e delle telecomunicazioni. Accordi particolari possono istituire altre competenze comunitarie o regolare un eventuale trasferimento di competenze dalla Comunità a uno dei suoi membri» (articolo 78).

Un lobbista del padronato, Georges Albertini, lo stay-behind che dirige la principale fucina anticomunista di Francia, fa pressione su De Gaulle perché alla Costituzione venga aggiunto un nuovo articolo: «[I partiti e i raggruppamenti politici»] devono rispettare i principi della sovranità nazionale e della democrazia» (articolo 4). È il presupposto per poter interdire il Partito comunista quando i rapporti di forza lo consentiranno.

Traduzione
Rachele Marmetti

Seguito dell’articolo: "Quando lo stay-behind voleva rimpiazzare De Gaulle", di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 10 settembre 2001.

[1Il National Security Act del 1947, prima riorganizzazione di ampio respiro dell’apparato di difesa americana dalla creazione nel 1798 del dipartimento della Navy, ha creato il Consiglio per la Sicurezza Nazionale (National Security Council), la CIA (Central Intelligence Agency), il National Security Resources Board, il National Military Establishment e l’Office of Secretary of Defense. All’interno del National Security Establishment, l’U.S. Air Force, i Joint Chiefs of Staff, l’Ufficio per la ricerca e lo sviluppo (Research and Development Board) et l’Ufficio per le munizioni (Munition Board).

[2Nominato segretario di Stato del presidente Eisenhower nel 1953, dopo aver violentemente attaccato l’inefficacia delle democrazie nella lotta contro il comunismo (le elezioni sono segnate dalla disfatta della Corea), John F. Dulles condivide le convinzioni violentemente anticomuniste del senatore Joseph McCarthy (la cui “caccia alle streghe” si interromperà nel 1954) e fa di questa lotta l’asse portante della politica americana. Malgrado quanto accade nella Germania dell’Est (1953), la sconfitta di Dien Bien Phu che egli stesso annuncia agli americani (maggio 1954, documento RealAudio), la rivista Time lo designa nel 1954 “uomo dell’anno”! La teoria del contenimento enunciata da Truman (1947) non impedisce quanto avviene in Ungheria nel 1956. La politica estera americana di lotta contro il comunismo è a partire da allora determinata dall’equilibrio del terrore (l’URSS entra in possesso della bomba H nel 1953).

[3In seguito al successo delle operazioni mirate al rovesciamento del leader iraniano Mohammad Mossadeq del 1953 e del presidente di sinistra del Guatemala Jacobo Arbenz nel 1954, realizzate seguendo le raccomandazioni del National Security Council (NSC), il documento NSC 5412 (del 1954) formalizza il principio della regolarità di incontri tra rappresentanti del presidente Eisenhower e rappresentanti del segretario di Stato alla Difesa con il NSC al fine di discutere le operazioni clandestine (covert operations).

[4Ufficialmente, in questo incontro è unicamente in discussione la proposta di mediazione anglo-americana tra Tunisia e Francia, scaturita dai numerosi scontri tra forze francesi e le forze di liberazione algerine ripiegate in Tunisia. È la missione dei “buoni uffici”. Tuttavia la stampa s’interroga sul contenuto esatto della lettera di Eisenhower, sulla ragione della presenza inusuale di Robert D. Murphy e sui possibili altri soggetti di conversazione.

[5L’Allied Coordination Committee (ACC), il cui quartiere generale è a Bruxelles, aveva per obiettivo di «organizzare la resistenza, in caso di occupazione comunista, per mezzo di metodi di guerra non convenzionali», attraverso lo sviluppo di reti «dormienti» (stay-behind). La storia e il funzionamento di queste reti possono essere compresi leggendo il nostro dossier Les réseaux d’ingérence américains.

[6Le opere di riferimento sulla preparazione del colpo di Stato sono: Les 13 complots du 13 Mai, di Merry e Serge Bromberger, Fayard, 1959; Secrets d’État, J-R. Tournoux, Plon, 1960; in tempi più recenti Pierre Péan ha pubblicato informazioni complementari nel libro Le Mystérieux docteur Martin, 1895-1969, Fayard, 1993; Christophe Nick ha pubblicato un documento del comandante Robert Vitasse in Résurrection. Naissance de la Ve République, un coup d’État démocratique, Fayard, 1998.

[7Per non rendere troppo evidente il coinvolgimento della NATO, a febbraio 1958 il generale Chassin dà le dimissioni dal suo incarico alla NATO.

[8La Cagoule è il soprannome dato al Comité secret d’action révolutionnaire (CSAR), un complotto fascista che negli anni Trenta tentò di rovesciare la III Repubblica. Durante la Seconda guerra mondiale gli aderenti si di divisero fra Vichy, Londra e Algeri, secondo l’importanza da loro attribuita alla rivoluzione nazionale e al nazionalismo.

[9Jean Dannenmüller è il futuro suocero di Lionel Jospin.

[10Cincinnato fu console di Roma nel 460 a.C. Due volte dittatore, sconfisse gli Equi. Viene citato come modello di semplicità dei costumi.

[11Si veda Pourquoi De Gaulle, in Carrefour del 30 aprile 1958.

[12Si veda Jean Ousset et la Cité catholique di Raphaëlle de Neuville, edizioni Dominique Martin Morin, 1998.

[13La nipote di Geoffroy Chodron de Courcel, Bernadette, sposerà Jacques Chirac.

[14Il ruolo di Jean Ousset nell’Opus Dei è stato rivelato da Yvon le Vaillant, Sainte Maffia, Mercure de France, 1971.

[15I due più importanti dirigenti della Giovane Nazione, Pierre Sidos e Dominique Venner non possono partecipare alla manifestazione perché sono in carcere dall’8 maggio per aver provocato incidenti durante la festa di Giovanna d’Arco.

[16Questo servizio d’ordine è diretto da Daniel Briaua, ex miliziano recuperato da Stay-behind.

[17Si veda L’Humanité del 13 agosto 1958. Pincemain, ex capo della milizia nell’Ariège, al momento della Liberazione fuggì con un tesoro di guerra valutato 150 milioni di franchi. Entrato in Gladio, aveva creato società di copertura con l’ex SS Otto Skorzeny in Spagna, Marocco e America del Sud.

[18François de Grossouvre si sarebbe suicidato il 7 aprile 1994 sparandosi alla testa nel suo ufficio all’Eliseo, dove era consigliere di François Mitterand.

[19Si veda The Daily Express del 17 maggio 1958.

[20È interessante rilevare che gli storici ufficiali del gollismo ridicolizzano questo episodio fondamentale. Secondo la loro versione, la stampa straniera e il governo svizzero sarebbero stati manipolati dal generale Chassin, le cui dichiarazioni non sarebbero altro che un gigantesco bluff. La stampa francese sottoposta a censura sarebbe, secondo loro, più credibile. Gli stessi storici ammettono tuttavia, senza preoccuparsi dell’incoerenza, l’esistenza di Comitati di salute pubblica in provincia.

[21The Times del 29 maggio 1958.

[22Associated Press du 24 septembre 1958.

[23È Yves Guéna, consigliere tecnico di Michel Debré, che sistema la questione. Si veda la deposizione del 19 giugno 1963 di Pierre Sidos e dell’avvocato Martin Sané al processo della Giovane Nazione davanti alla Corte di sicurezza dello Stato.

[24AFP, 28 agosto 1958.

[25Bernard Cornut-Gentille era anche amministratore di Pastis Ricard.

[26Il progetto Pétain è stato pubblicato dall’avvocato Jacques Isorni nella raccolta Quatre Années au pouvoir, La Couronne littéraire, 1949.

[27Nota 1247/ZSA/5 del 27 giugno 1958, citata da Le Monde il 13 agosto 1958.

[28È possibile consultare la Cronologia dei testi legislativi sulla cittadinanza francese, la naturalizzazione degli stranieri e l’accesso degli indigeni ai diritti politici in Algeria (dal 1830 al 1938) di Pierre Outrescaut.