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CentCom : Controllo del "Grande Medio Oriente"
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Il Pentagono ha cinque comandi regionali che hanno il compito di applicare la politica imperiale. I capi di questi comandi sono soprannominati “vice-re”, con riferimento al vice-re britannico dell’Impero delle Indie .
Il CentCom (comando statunitense per il Medio Oriente Allargato) ora sorveglierà anche Israele, prima collocato nella zona dell’EuCom (comando statunitense per l’Europa) .
Il Pentagono riorganizza così il proprio dispositivo regionale in funzione della normalizzazione delle (...)

Se Joe Biden s’insediasse alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe sostenere i progetti dei presidenti iraniano e turco e agevolare la costituzione d’un impero regionale iraniano nel Levante e di uno turco nel Caucaso, entrambi a spese della Russia. Thierry Meyssan analizza i cambiamenti in corso in Iran.

In Afghanistan il Pentagono combatte ufficialmente i talebani; secondo lo Washington Post invece li arma in segreto per aiutarli a combattere un altro nemico ufficiale degli Stati Uniti, Daesh .
Però in diversi Paesi del Medio Oriente Allargato numerose testimonianze affermano che il Pentagono combatte ufficialmente Daesh, ma lo arma in segreto.
I fatti dimostrano che il Pentagono persegue tutt’ora la strategia Rumsfeld/Cebrowski: provocare «guerre senza fine» che privino gli Stati del (...)

Il trattato Israele-Emirati scombussola la retorica sul Medio Oriente e rende possibile una pace arabo-israeliana. Interrompe l’inesorabile erosione dei territori arabi da parte di Israele e stabilisce relazioni diplomatiche tra Israele e il leader del mondo arabo. Se si è disposti a esaminare senza pregiudizi una situazione ove paura, violenza e odio provocano manifeste ingiustizie non si può non prendere atto che l’iniziativa del presidente Donald Trump sblocca un conflitto esasperato, che perdura da 27 anni. È stata immediatamente presentata la candidatura di Trump al premio Nobel per la pace.

Fare la pace è abbastanza semplice: basta smettere di farsi la guerra. Nel Grande Medio Oriente però è molto più complicato perché una pletora di protagonisti esige una soluzione che deve comunque soddisfare rivendicazioni contrastanti. A tali condizioni la pace non può essere del tutto equa, ma deve poter garantire perlomeno la sicurezza di tutti.

Durante i tre mesi di confinamento degli Occidentali, la mappa del Medio Oriente è stata trasformata in profondità. Lo Yemen è diviso in due Paesi distinti, Israele è paralizzato da due primi ministri che si detestano, l’Iran sostiene apertamente la NATO in Iraq e in Libia, la Turchia occupa il nord della Siria, l’Arabia Saudita è sull’orlo del fallimento. Tutte le alleanze sono rimesse in discussione e nuove divisioni compaiono, meglio riaffiorano.

Mentre gli europei e gli arabi sono impegnati con il coronavirus, gli anglosassoni modificano l’ordine mondiale. Sotto comando statunitense, il Regno Unito ha preso il controllo dell’ingresso del Mar Rosso; gli Emirati Arabi Uniti si sono rivoltati contro l’Arabia Saudita, infliggendole una cocente sconfitta nello Yemen del Sud; nel frattempo gli huti hanno fatto altrettanto nello Yemen del Nord. Ormai lo Yemen è scisso in due Stati separati e l’integrità territoriale dell’Arabia Saudita è minacciata.

I fatti che si susseguono dal 2001 in Medio Oriente Allargato ubbidiscono a una logica implacabile. La questione è ora sapere se è arrivato il momento di una nuova guerra, in Turchia o in Arabia Saudita. La risposta dipende soprattutto dal rilancio delle ostilità in Libia. È in questo contesto che deve essere interpretato il Protocollo Aggiuntivo per la risoluzione della crisi di Idlib, negoziato dai presidenti Erdoğan e Putin.

Da due decenni le truppe statunitensi dettano legge nel Medio Oriente Allargato. Interi Paesi sono privi di uno Stato che li difenda. Popolazioni intere sono assoggettate alla dittatura degli islamisti. Vengono perpetrate uccisioni di massa. Si provocano carestie. Il presidente Donald Trump ha imposto il rimpatrio dei propri soldati, ma il Pentagono non desiste, vuole proseguire l’opera con soldati della NATO.

Alla fine sarà proprio la NATO a investire il mondo arabo dopo il ritiro del CentCom (Comando Centrale degli Stati Uniti in Medio Oriente). La Germania potrebbe svolgere il ruolo di leader in seno all’Alleanza.
Il segretario generale, Jens Stoltenberg ha per obiettivo:
1. dispiegare l’Alleanza in Tunisia e far durare in eterno la guerra in Libia;
2. dispiegare l’Alleanza in Iraq e in Giordania, nonché perpetuare la guerra in Siria.
Il 1° febbraio 2020 la Turchia si è improvvisamente (...)

Come previsto in un vecchio progetto annunciato nel 2013, la Germania è riuscita a convincere il presidente Trump a dispiegare truppe europee in Medio Oriente sotto il comando della NATO. L’Alleanza vi vede l’opportunità di essere presente nella regione indo-pacifica e diventare un’organizzazione mondiale, in particolare facendo leva sulla questione taiwanese. Per tutelare la propria credibilità la Nato deve mostrare che la propria forza è intatta rispetto alla Russia, perciò organizzerà gigantesche manovre, Defender Europe 20.

Il 3 gennaio 2020 il generale Qasem Soleimani (foto), comandante delle forze Al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione iraniani è stato assassinato dagli Stati Uniti all’aeroporto di Bagdad (Iraq). Era considerato il migliore soldato al mondo delle forze speciali.
Con la stessa operazione è stato eliminato anche Abu Mahdi al-Muhandis, numero due delle Unità di Mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi), una milizia di circa 80 mila iracheni fedeli all’Iran.
Questi due assassinii fanno seguito (...)

L’arrivo al Cairo della delegazione tedesca
La Conferenza di Monaco sulla Sicurezza ha organizzato il 25 e 26 ottobre, al Cairo, e il 27 e 28 ottobre a Doha, due seminari di dirigenti arabi e tedeschi.
L’Egitto insieme a Siria e Arabia Saudita sono impegnati contro i Fratelli Mussulmani; il Qatar insieme a Turchia e Iran sostengono invece questa società segreta.
Hanno partecipato alla riunione del Cairo il presidente egiziano, Abd al-Fattah al-Sisi, il ministro degli Esteri egiziano, Sameh (...)

In Libano le banche sono chiuse da dieci giorni. I bancomat non vengono riforniti. Manifestazioni si succedono ovunque nel Paese. Tutte le principali direttrici della rete stradale sono bloccate da barricate. Si circola soltanto prendendo viuzze secondarie, purché le si conosca. L’aeroporto è inaccessibile.
In Iraq le manifestazioni sono riprese, in particolare nelle zone sciite. La repressione ha fatto oltre 200 morti in un mese. Come il Libano – dal 1943 – anche l’Iraq dal 2005 ha una (...)

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