In occasione del suo primo incontro con Bashar al-Assad, Hugo Chávez affermava che sarebbe diventato il principale leader rivoluzionario nel mondo.

Bashar el-Assad non desiderava entrare in politica. Si era dedicato ad essere un oculista. Tuttavia, alla morte del fratello Bassel, rientrò dal Regno Unito dove continuava i suoi studi e accettò di servire la sua patria e suo padre. Alla morte di quest’ultimo, acconsentì a succedergli per mantenere l’unità del paese. I suoi primi anni di governo furono un tentativo di modificare la composizione delle classi sociali in modo da rendere possibile un sistema democratico che nessuno gli reclamava. Pazientemente, smantellò il sistema autoritario del passato e iniziò ad associare la popolazione alla vita pubblica.

Tuttavia, appena giunto al potere, fu informato che gli Stati Uniti avevano deciso di distruggere la Siria. Anche la sua presidenza venne reindirizzata soprattutto verso il rafforzamento dell’esercito arabo siriano, l’elaborazione di alleanze esterne, e tentativi di sventare il complotto. Dal 2005, con la commissione Mehlis, ha dovuto affrontare l’opposizione del mondo intero che lo accusava dell’assassinio di Rafik Hariri. Ma è soltanto nel 2011 che le potenze coloniali si unirono sia contro di lui personalmente sia contro la Siria.

Quale non fu la sua sorpresa, all’inizio degli eventi, quando ricevette una delegazione dalla città siriana dove si era tenuta la più grande manifestazione, nel sentire da essa la richiesta di espellere gli alauiti dalla città. Inorridito, mise fine all’incontro e decise di difendere fino alla fine la civiltà siriana del "vivere insieme".

Per tre anni, il timido medico si è trasformato in condottiero. All’inizio sostenuto quasi esclusivamente dal suo esercito, e poi gradualmente affiancato dal suo popolo, è stato eletto in piena guerra per un terzo mandato con l’88,7% dei suffragi espressi, che rappresentano il 65% dell’elettorato. Il suo discorso di investitura esprime sino a che punto egli sia cambiato nel corso degli eventi. [1]

L’ideale che ha espresso è innanzitutto il servizio alla Patria repubblicana. Ha combattuto per difendere questi uomini e donne che qualcuno destinava a vivere sotto il dominio di una dittatura religiosa al servizio dell’imperialismo. E talvolta, ha combattuto per loro, e contro la loro volontà. Ha combattuto per loro dubitando di raggiungere la vittoria, preferendo morire per la giustizia anziché accettare l’esilio dorato, ma vergognoso, che gli offrivano il "Occidentali".

Tuttavia, poco tempo prima, i dittatori Zine el-Abidine Ben Ali e Hosni Mubarak avevano ceduto alle prime ingiunzioni di Washington, e lasciato i loro paesi nelle mani dei Fratelli musulmani. Peggio ancora, l’autocrate Hamad bin Khalifa Al Thani aveva abdicato, come un bambino obbediente, alla prima alzata di sopracciglio di Barack Obama, preferendo godersi la sua ricca refurtiva anziché combattere.

Si trattava inizialmente per Assad di resistere ai colpi dell’imperialismo. Ma mentre si avvicina la vittoria, gli è venuta la volontà di andare oltre: rimettere in causa il disordine mondiale. Si è scoperto come un vero leader rivoluzionario, proprio come Hugo Chávez l’aveva percepito mentre il mondo lo prendeva ancora per un semplice figlio di papà. E come tale, e quale che sia il crimine di certi politici, non può non assumere la difesa del popolo palestinese che i coloni israeliani massacrano a Gaza.

La rivoluzione di Bashar al-Assad è principalmente una lotta di liberazione contro l’oscurantismo religioso, che le monarchie wahhabite dell’Arabia Saudita e del Qatar incarnano nel mondo arabo. Essa intende garantire il libero sviluppo di ciascuno, indipendentemente dalla propria religione, e si afferma dunque come laica, il che vale a dire che si oppone al conformismo religioso. Enuncia che Dio non sostiene alcuna religione in particolare, bensì la Giustizia comune a tutti. In realtà, restituisce la fede in Dio alla sfera privata, per renderla la fonte della forza che permette a tutti di lottare contro un nemico superiore in forze e di vincerlo insieme.

Come chiunque abbia attraversato una guerra, Bashar al-Assad non poteva accettare l’idea che gli orrori commessi lo fossero ad opera di uomini malvagi che piantavano «le loro zanne nel corpo della Siria, causando la morte e distruzione, divorando cuori e fegati umani, sgozzando e decapitando». Accettarla implicava il perdere ogni speranza nella specie umana. Anche lui ha visto dietro le loro azioni l’influenza del Diavolo, che li ha manipolati attraverso i sedicenti "Fratelli musulmani".

Il nome "Diavolo" si riferisce etimologicamente al doppio discorso che tiene. Il presidente al-Assad ha quindi smontato lo slogan delle "primavere arabe", immaginato dal Dipartimento di Stato per piazzare i Fratelli Musulmani ovunque al potere in tutto il Nord Africa, nel Levante e nel Golfo. Ovunque l’asservimento all’imperialismo seguiva le bandiere coloniali, quella della monarchia wahhabita dei Senussi in Libia, quella del mandato francese in Siria, mentre paradossalmente reclamavano "la Rivoluzione" a fianco dei tiranni di Riyadh e di Doha.

La guerra era per lui un lungo percorso personale. L’ha vissuta guidato dalla sua morale: il «servizio dell’interesse pubblico», ciò che i Romani chiamavano "la Repubblica", ma che gli inglesi considerano una chimera che maschera ambizioni autoritarie. Come Robespierre "l’Incorruttibile", ha capito che questo servizio non poteva soffrire alcun tradimento, quindi nessuna corruzione. Come suo padre, Hafez al-Assad, vive sobriamente e diffida del lusso ostentato di certi capitani di industria e del commercio, fossero anche suoi parenti.

È diventato un leader rivoluzionario; l’unico capo d’Esecutivo al mondo che sia sopravvissuto a un attacco concertato di una vasta coalizione coloniale guidata da Washington, e che è stato ampiamente rieletto dal suo popolo. In tal modo, entra nella storia.

Traduzione
Matzu Yagi
Fonte
Megachip-Globalist (Italia)

[1«Discours inaugural du président Bachar el-Assad», di Bashar al-Assad, Réseau Voltaire, 16 luglio 2014.