Dopo aver compiuto un colpo di Stato, Benjamin Netanyahu ha organizzato con la Confraternita dei Fratelli Mussulmani l’operazione del 7 ottobre. Ora cerca il modo di sbarazzarsi del popolo palestinese.

Tutte le citazioni contenute in questo articolo sono state scritte o pronunciate negli ultimi due mesi.

Si sa che le ideologie suprematiste sono all’origine di massacri inauditi. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito al genocidio dei tutsi da parte di Hutu Power, nonché a quello degli Yazidi da parte di Daesh. In entrambi i casi lo scopo non era sbarazzarsi di oppositori politici, ma di eliminare fisicamente un gruppo etnico giudicato non-umano.

Negli ultimi due mesi molte personalità israeliane hanno assimilato tutti i palestinesi ad Hamas e ai suoi crimini, manifestando disprezzo per l’intero popolo. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, li ha definiti «animali umani»; altri esponenti ne hanno tratto la conclusione che la guerra deve essere «totale».

A titolo di esempio:
• Il deputato Nissim Vaturi (Likud), vicepresidente della Knesset, ha scritto su X:
«Tutta questa preoccupazione di accertarsi se a Gaza c’è o non c’è internet dimostra che non abbiamo imparato niente. Siamo troppo umani (…) Bruciate Gaza, subito, non c’è altro da fare! Non lasciate entrare carburante, non lasciate entrare acqua fino al ritorno degli ostaggi!».
• Il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha dichiarato:
«Siamo molto contenti per il ritorno degli ostaggi liberati, ma si è fatta strada l’idea di una tregua. Un accordo per fermare [la guerra] più a lungo sarebbe un errore terribile, sarebbe una dimostrazione di debolezza (…) Dobbiamo rompere ogni rapporto e ogni negoziato con Hamas e i mediatori; dobbiamo guardare il nemico solo dal mirino di un fucile».
• Il ministro del Patrimonio, Amichai Eliyahu, ha dichiarato a Radio Kol Berama che Israele valuta se usare l’arma atomica a Gaza: «è una soluzione… è un’opzione». Ha poi paragonato i residenti della Striscia di Gaza ai «nazisti», affermando che «a Gaza non ci sono non-combattenti» e che Gaza non merita aiuti umanitari. «A Gaza non c’è palestinese che non sia implicato».

Su questa base ideologica, dirigenti israeliani ed europei hanno innanzitutto evocato il «sogno dei sionisti revisionisti»  ossia dei discepoli dell’ucraino Vladimir Jabotinsky (1880-1940): l’espulsione forzata di tutti i palestinesi o il loro massacro.

Ecco la preparazione di questo crimine:
• Il deputato Eliyahu Revivo (Likud) ha scritto alla Commissione per la toponomastica chiedendo che Gaza non indichi più alcun luogo geografico né compaia in alcuna segnaletica. Secondo il parlamentare «è fuor di dubbio che il nome “Gaza” sia immediatamente associato a qualcosa di negativo e malefico».
• La ministra dell’Intelligence, Gila Gamliel, il 13 ottobre ha redatto una nota per il governo di coalizione (di cui all’epoca non faceva parte alcun ministro dell’opposizione), intitolata Alternative a una direttiva politica per la popolazione civile di Gaza, in cui raccomanda di espellere i 2,2 milioni di abitanti della Striscia verso il Sinai egiziano [1]. Il documento è trapelato il 29 ottobre, ma l’ufficio del primo ministro ha assicurato ai giornalisti stranieri che Gila Gamliel è ministra di poca rilevanza, disposta a scrivere qualunque cosa pur di far parlare di sé.
• Un amico personale di Netanyahu, Amir Weitman, ha stilato per l’Institute for National Security and Zionist Strategy un rapporto intitolato Piano per la reinstallazione e la riabilitazione definitiva in Egitto dell’insieme della popolazione di Gaza: aspetti economici [2] in cui stima il costo del ricollocamento forzato della popolazione di Gaza in otto miliardi di dollari. Membro del partito del Likud, Weitman ritiene la Russia unica responsabile dei massacri.
• Il generale Giora Eiland, ex consigliere per la Sicurezza di Ariel Sharon, a fine ottobre dichiarava: «Gaza deve diventare un luogo dove nessuno essere umano potrà vivere; lo ritengo un mezzo, non il fine. Lo dico perché non c’è un’altra opzione per garantire la sicurezza dello Stato d’Israele. Lottiamo in una guerra che minaccia la nostra esistenza».
• Due parlamentari, Danny Danon (Likud) e Ram Ben-Barak (Yesh Atid) il 14 novembre hanno scritto nella pagina delle opinioni del Wall Street Journal [3]: «L’Europa ha una lunga storia di aiuti ai rifugiati che fuggono da conflitti (…) La comunità internazionale può collaborare a un finanziamento puntuale dei programmi di sostegno agli abitanti di Gaza interessati a trasferirsi. Può anche contribuire alle spese di trasferimento e di integrazione. Abbiamo semplicemente bisogno che un pugno di nazioni condividano la responsabilità accogliendo degli abitanti di Gaza. Basterebbe che questi Paesi ne accogliessero 10.000 ciascuno per contribuire all’allentamento della crisi».
• La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il 18 novembre si è recata al Cairo: dapprima ha tentato di convincere l’Egitto ad aprire la frontiera e a dare asilo a 2,2 milioni di gazesi; di fronte al rifiuto del presidente-generale al-Sisi ha proposto l’installazione di un gigantesco accampamento per ospitarli transitoriamente nel Sinai, in attesa del trasferimento in altri Stati, tra cui Germania e Francia.
• Gila Gamliel il 19 novembre torna alla carica; nella pagina delle opinioni del Jerusalem Post [4] scrive: «Dirigenti mondiali già discutono di un programma di sistemazione dei rifugiati, affermando di essere disposti ad accogliere gli abitanti di Gaza nel proprio Paese. Potrebbero aderire molti Paesi, in particolare quelli che affermano di essere amici dei palestinesi (…) Dobbiamo trovare una nuova strada, e ci appelliamo alla comunità internazionale affinché collabori. Potrebbe essere una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti: una vittoria per i civili di Gaza [sic] che aspirano a una vita migliore, nonché una vittoria per lo Stato ebraico dopo questa devastante tragedia».

Ma le immagini del massacro in diretta sui social network hanno suscitato la reazione indignata del 95% degli internauti. Sono stati uccisi 20.000 palestinesi, se si aggiungono ai cadaveri i dispersi tutt’ora sotto le macerie. L’amministrazione Biden, che fornisce le bombe che ammazzano i palestinesi, è stata costretta a simulare pressioni sul governo israeliano affinché «dimostri di sapersi contenere». Una retorica che non corrisponde ai fatti, giacché le FDI non hanno scorta di bombe e Washington continua a fornirgliele. Tuttavia, consapevole che la campagna elettorale per le presidenziali è alle porte, Joe Biden presto o tardi sarà costretto a interrompere le forniture, quindi far cessare il massacro per mancanza di armi. I dirigenti israeliani devono perciò considerare l’ipotesi che i palestinesi restino nella loro terra, quindi a immaginare chi potrà governarli, ovviamente escludendo Hamas. Due le possibilità prese in considerazione:

 Installare un’amministrazione internazionale provvisoria sotto mandato dell’Onu
Tuttavia nessuno Stato si è candidato né per dispiegare truppe che indossino il casco blu delle Nazioni Unite né per gestire i Territori palestinesi.
 Creare un’amministrazione palestinese
• L’ex ministro per la Sicurezza del governo Abbas, Mohamed Dahlan, in esilio negli Emirati Arabi Uniti, è in tournée su tutte le televisioni arabe: con ogni evidenza è il candidato per dirigere un’«Autorità palestinese rinnovata» (sic). Dahlan ha spedito il suo vice del Blocco della riforma democratica, Samir al-Mash’harawi, al Cairo, dove ha incontrato una delegazione di Hamas. Le due organizzazioni hanno concluso un accordo.
• Il presidente Mahmoud Abbas è candidato a succedere a se stesso. Tuttavia l’ambiguità della sua posizione sul massacro lo rende oggi ancor meno legittimo di quanto lo fosse prima del 7 ottobre.

Per inciso, se i Territori palestinesi sopravviveranno molti dirigenti israeliani vorranno gradualmente colonizzarli.
• Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, in un’intervista alla radio pubblica Kan Sunday, ha dichiarato: «Dopo che le colonie di Gush Katif sono state evacuate [nel 2005] il mondo è cambiato; la realtà è cambiata (…) Ciò di cui abbiamo bisogno qui è un’occupazione. Ogni volta che i nostri nemici hanno perso territori hanno perso la guerra. Dovremmo avere un controllo totale; per dissuadere i nostri nemici dobbiamo fargli sapere che abbiamo vinto e che consentiremo agli israeliani di rientrare nelle proprie case. Non ho paura che gli israeliani si reinstallino a Gaza».
• Yoav Kisch, ministro dell’Educazione, ha dichiarato che non esclude uno scenario in cui verrebbero ricostruite colonie nella Striscia di Gaza. È stata presentata alla Knesset una proposta di legge per il ripristino del diritto alla libera circolazione degli israeliani nella Striscia. Il governo di coalizione ha saggiato in proposito diversi Stati alleati: pare che disapproverebbero, tuttavia non taglierebbero i legami con lo Stato ebraico.
• Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze incaricato dell’amministrazione civile della Cisgiordania, ha esortato a creare zone di sicurezza attorno alle colonie della Cisgiordania. Una strategia finalizzata in prospettiva a estenderle.

Naturalmente non tutti gli israeliani appoggiano la cecità e il furore della classe dirigente.
• L’ufficio del primo ministro si rifiuta di lavorare con il comparto militare incaricato della riparazione delle infrastrutture, perché comandato dal generale Roni Numa, che ha presentato istanza alla Corte suprema contro la “riforma” delle leggi fondamentali del Paese, da lui definita «colpo di Stato».
• La ministra dell’Informazione, Distel Atbaryan, si è dimessa rifiutandosi di ingoiare ulteriori rospi. Le FDI israeliane durante questa guerra censurano la stampa israeliana, anche su temi politici estranei al conflitto.
• Il primo ministro ha vietato ogni manifestazione a sostegno della popolazione di Gaza; un’organizzazione araba israeliana, Adalah, e il partito Hadash hanno portato la vicenda davanti all’Alta corte.
• Gli abitanti di Kafr Aqab — quartiere di Gerusalemme Est dove il governo israeliano sperava di relegare la capitale di un eventuale Stato palestinese — vi rimangono segregati dalle ore 17.00.
• Il ministro della Sicurezza, Itamar Ben-Gvir, se l’è presa con tre giudici arabi israeliani, colpevoli, secondo lui, di: non aver condannato abbastanza duramente Maisa Abdel-Had, attrice che aveva espresso solidarietà con le persone espulse da Gerusalemme Est; non aver preso provvedimenti contro un uomo anziano che denunciava le condizioni di detenzione dei prigionieri palestinesi; rifiutarsi di comunicare il nome di un indagato accusato di sostenere Hamas.
• Un professore di Educazione civica e di Storia, il pacifista ebreo Meir Baruchin, è stato arrestato e messo in carcere dallo Shin Beth per aver pubblicato un tweet con i nomi e l’età di sei giovani palestinesi, da 14 a 24 anni, uccisi a Gaza, accompagnandoli con la didascalia: «Sono nati sotto l’occupazione. Sotto l’occupazione hanno vissuto tutta la loro vita. Non hanno conosciuto la libertà, nemmeno per un giorno. Sono stati uccisi dai nostri meravigliosi ragazzi».
• I deputati Aida Touma-Sliman (Hadash-Ta’al) e Iman Khatib-Yassin (Lista araba unita) sono stati sospesi dalla Knesset, con trattenuta sulla retribuzione, per aver fatto notare che alcune uccisioni attribuite ad Hamas erano in realtà vittime collaterali israeliane delle FDI.

Per mandare avanti la propria guerra, il governo di emergenza è stato costretto a mobilitare quasi tutti gli ebrei (non gli arabi) in età di combattere. Tuttavia il primo ministro Benjamin Netanyahu ha temuto che alcune nuove reclute si rivoltassero e rifiutassero di obbedire a ordini criminali. Per questo motivo ha attivato in seno alle FDI una nuova procedura di designazione degli obiettivi. In passato lo stato-maggiore riusciva a fatica a selezionarne un centinaio al giorno. Gli ufficiali dovevano fare attenzione a limitare i danni collaterali.
Ora gli obiettivi non vengono decisi da militari, ma selezionati da software. Non c’è più responsabilità umana, quindi nessuno può opporsi a ordini criminali. La macchina ne seleziona cinquecento al giorno; non informa più sui possibili danni collaterali. Meno se ne sa, meglio l’ingranaggio funziona.
Sui social network sono state diffuse immagini di palestinesi arrestati dalle FDI. Sono uomini fermati perché si trovavano al posto sbagliato nel momento sbagliato. Forse tra loro si nascondeva un membro di Hamas. Senza vestiti, in mutande, senza scarpe, in ginocchio sotto la minaccia delle armi. Vengono poi caricati, sempre senza vestiti, su autocarri e trasportati in centri per interrogatori. Il procuratore generale Galia Baharav-Miara ne ha autorizzato la detenzione per 60 giorni, senza alcun contatto né con l’avvocato né con il medico. Dopo 60 giorni sarà impossibile trovare tracce di torture.

Traduzione
Rachele Marmetti

[1«Alternative a una direttiva politica per la popolazione civile di Gaza» (in ebraico). Nota del ministero dell’Intelligence, 13 ottobre 2023.

[2Piano per la reinstallazione e la riabilitazione definitiva in Egitto della popolazione di Gaza (in ebraico), Institute for National Security and Zionist Strategy, ottobre 2023.

[3«The West Should Welcome Gaza Refugees», Danny Danon, Wall Street Journal, November 14, 2023.

[4Victory is an opportunity for Israel in the midst of crisis, Gila Gamliel, Jerusalem Post, November 19, 2023.