Situata alla sommità di uno sperone roccioso che domina il Mar Morto, la fortezza romana di Masada fu occupata dalla setta ebraica dei Sicari. Nel 73 d.C. le legioni romane l’assediarono. Costruirono un’immensa rampa di accesso, ma quando entrarono scoprirono che i Sicari si erano collettivamente suicidati, mettendo fine alla guerra giudeo-romana. Ancora oggi tra queste rovine gli ufficiali delle forze corazzate, dei paracadutisti e dell’aviazione militare israeliani pronunciano il loro giuramento di fedeltà: «No, la catena non è spezzata sulla vetta ispirata. Mai più Masada cadrà».

È molto improbabile che il primo ministro kazaro Netanyahu, ormai con le spalle al muro, rispetti la risoluzione del cessate-il-fuoco immediato a Gaza [1].

Netanyahu si barrica dietro la sindrome di Masada e sfrutta il clamore del 90% della popolazione israeliana che esige l’eradicazione di Hamas, senza curarsi dei “danni collaterali” (sic), che si traducono in un’apocalisse palestinese che collide con i tre principi del diritto internazionale umanitario: discernimento, proporzionalità e precauzione [2].

Tre anni dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C, Masada fu la roccaforte dove la setta estremista dei Sicari (da cui deriva il termine “sicario”), ossia gli zeloti di Giudea, assediati dalle truppe dell’imperatore Tito, perirono.

Dopo 1951 anni Netanyahu, di origine polacca e che non ha niente in comune con gli autentici ebrei semiti, mette di nuovo in pratica la sindrome di Masada, per rispondere al clamore soverchiante della coscienza umanista universale dei popoli e degli Stati.

Quale sorprendente somiglianza tra gli zeloti dell’anno 73 d.C. da un lato e, dall’altro, i loro emuli neocolonialisti Ben Gvir, ministro della Sicurezza (sic), e Smotrich, ministro delle Finanze del governo Netanyahu!

La sindrome di Masada si è impadronita del gabinetto Netanyahu quando il suo ministro degli Esteri, Israel Katz, prescindendo della risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha dichiarato: «Lo Stato di Israele non cesserà il fuoco. Distruggeremo Hamas e continueremo a combattere finché tutti gli ostaggi non torneranno a casa» [3].

La finora inoperante Corte Internazionale di Giustizia (CIJ), dopo quasi sei mesi di genocidio dantesco ha ingiunto a Israele di facilitare «urgentemente» (sic) l’ingresso degli aiuti umanitari (sic) nella Striscia di Gaza [4], territorio palestinese bloccato da cielo, mare e terra, dove infuria la guerra alimentare che provoca carestia, sete e malattie.

Secondo il Times, giornale vicino alla monarchia globalista britannica e a Israele, il blocco degli aiuti umanitari (sic) a Gaza è un grave errore strategico da parte di Israele, perché l’opinione pubblica mondiale lo percepisce come volontà di affamare deliberatamente i palestinesi assediati.

La relatrice speciale delle Nazioni unite Francesca Albanese ha polemizzato con il presidente francese Emmanuel Macron che, commemorando le vittime ha definito l’attacco del 7 ottobre «il più grande massacro antisemita del nostro secolo». Albanese gli ha ricordato che le vittime non sono state uccise «a causa del loro ebraismo, ma in reazione all’oppressione di Israele». Il ministero degli Esteri francese ha condannato l’osservazione della relatrice speciale, la quale ha risposto sostenendo che affermare che le vittime sono morte a causa dell’antisemitismo «nasconde la vera ragione».

In accordo con la CIJ, Francesca Albanese, relatrice dell’Onu sui diritti dell’uomo nei territori palestinesi occupati, nel suo rapporto intitolato Anatomia di un genocidio, ha accusato Israele e chiesto «agli Stati di rispettare i loro obblighi e d’imporre un embargo sulle armi, nonché sanzioni contro Israele (…) Quando l’intento genocidario è così evidente, così ostentato come a Gaza, non possiamo distogliere gli occhi; il nostro primo dovere è prevenirlo e punirlo» [5].

Elijah Magnier commenta che «Israele si prepara alla reazione internazionale su Gaza al di là del campo di battaglia» [6] con uno tsunami di azioni giudiziarie che ricordano le inquietanti scoperte della Commissione Goldstone che, sempre per conto dell’Onu, indagò sulle atrocità di Israele, compresi i crimini di guerra, nella guerra di Gaza di 15 anni fa [7].

In Anatomia di un genocidio Francesca Albanese rileva che Israele ha commesso tre atti specifici di genocidio, definiti dalla Carta dell’Onu: ha ucciso membri di un gruppo di popolazione; ha causato loro gravi danni fisici e mentali; ha intenzionalmente creato le condizioni che portano alla distruzione del gruppo. Ha inoltre massicciamente distrutto le infrastrutture di Gaza, compresi ospedali e terreni agricoli, ucciso e presumibilmente torturato migliaia di uomini e di ragazzi palestinesi.

Francesca Albanese vede nell’attuale situazione un’escalation del processo di colonizzazione in corso da molto tempo, nonché di cancellazione (sic): una nuova Nakba, alludendo all’espulsione di massa dei palestinesi dopo la creazione di Israele nel 1948.

Elijah J. Magnier riferisce che Israele ha categoricamente respinto i fatti del dirompente rapporto di Francesca Albanese, definendolo un «osceno rovesciamento (sic) della realtà». Classica sindrome di Masada!

Traduzione
Rachele Marmetti