Il presidente Trump è stato eletto grazie alla promessa di rovesciare il capitalismo finanziario e ripristinare il capitalismo produttivo. Fedele a questa logica, Trump ritiene che la riparazione dei danni di guerra alla Siria non debba essere pagata dagli Stati Uniti, bensì dalle società transnazionali. Una siffatta rivoluzione nelle relazioni internazionali è auspicabile e fattibile?
Erano i 114 Stati membri del consorzio internazionale «Amici della Siria» a finanziarne la distruzione a opera degli jihadisti. Dopo il fallimento, nessuno di questi Stati vuole però tirar fuori il becco d’un quattrino per la ricostruzione. Eppure, questi stessi Paesi non hanno battuto ciglio quando hanno dovuto sostenere gli Stati che accoglievano i rifugiati siriani: non si trattava di un gesto umanitario, bensì di un mezzo per sottrarre risorse umane al Paese.
Ognuno di questi Stati è, al contrario, pronto a cogliere l’occasione di arricchirsi e non si farà scrupolo di occultare i propri crimini per portare a casa contratti per la ricostruzione.
Il 7 e 8 agosto la Commissione Economica della Nazioni Unite per l’Asia Occidentale (ESCWA), riunita a Beirut, ha stimato in 388 miliardi di dollari il costo minimo della ricostruzione post-bellica [1]. In settembre l’ESCWA dovrebbe pubblicare un rapporto dettagliato. Consapevole che la vicenda siriana non ha molto a che vedere con una «guerra civile», ma somiglia molto più a un’aggressione straniera, l’ESCWA ha anticipato il titolo del rapporto: Syria, 7 years at war, “Siria, sette anni in guerra”, non “Siria, sette anni di guerra”.
Per fare un confronto, il Libano, la cui popolazione è tre volte inferiore a quella siriana, con la conferenza CEDRE dell’aprile scorso, ha ottenuto solo 11 miliardi di dollari di aiuto internazionale.
Gli Stati Uniti, che pianificarono la guerra sin dal 2004, non vogliono sborsare un dollaro. Secondo l’amministrazione Trump, questa guerra è stata concepita dall’amministrazione Bush jr. e condotta dall’amministrazione Obama. Ebbene, questi governi non hanno servito gli interessi del popolo statunitense, bensì quelli di una classe finanziaria transnazionale; hanno certamente distrutto la Siria, ma anche l’economia USA. Perciò non spetta a Washington pagare, mentre compete a questi personaggi e alle società transnazionali direttamente implicate nella guerra.
Alcuni esempi.
– Il fondo d’investimento statunitense rivale del Carlyle Group, il KKR di Henry Kravis (quotato in borsa 150 miliardi di dollari): si avvale del generale David Petraeus e ha fatto transitare finanziamenti e armi destinate ad Al Qaeda e Daesh [2].
– La casa automobilistica giapponese Toyota (valore di borsa 170 miliardi di dollari): ha fornito l’insieme dei veicoli nuovi a Daesh [3].
– Il fabbricante di macchine di costruzione Caterpillar (valore di borsa 76 miliardi di dollari): ha venduto agli jihadisti le perforatrici per costruire le loro reti sotterranee.
– Per non parlare del cementiere franco-svizzero Lafarge-Holcim (valore di borsa 40 miliardi di dollari): ha prodotto 6 milioni di tonnellate di cemento per costruire i bunker degli jihadisti [4].
E altri casi ancora.
L’impegno di queste società per attuare il piano dell’ammiraglio Arthur Cebrowski e distruggere Stati e società del Medio Oriente Allargato si spiega, probabilmente, con la garanzia dell’accesso alle risorse naturali della regione, assicurato dalla protezione degli eserciti occidentali.
Far pagare le multinazionali non esclude che si possano ottenere risarcimenti da alcuni Stati come Arabia Saudita, Kuwait, Qatar e Turchia, che hanno finanziato, o direttamente o tramite i cittadini all’estero, gli jihadisti.
Se riuscirà ad assemblare le prove del ruolo svolto da queste società transnazionali, la Repubblica Araba Siriana avrà facoltà di chiederne il sequestro alla giustizia del Paese della sede societaria. In virtù del ragionamento di Trump, la Siria potrà contare sull’appoggio della nuova amministrazione statunitense.
È quindi possibile che si riescano a racimolare i 388 miliardi di dollari stimati dall’ESCWA, anche ove non si riuscisse a far pagare gli Stati protagonisti del conflitto.
Ogni volta che è stato riconosciuto, alla fine di una guerra, il diritto di uno Stato alla riparazione sono state sequestrate società nazionali. Nel caso della Siria, la novità consisterebbe nella presa d’atto della globalizzazione economica e, quindi, nel sequestro di società transnazionali.
[1] “Chi pagherà alla Siria 388 miliardi di dollari di danni di guerra?”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 9 agosto 2018.
[2] “Miliardi di dollari in armi contro la Siria”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 21 luglio 2017.
[3] « Le département US du Trésor enquête sur les approvisionnements de Daesh », Réseau Voltaire, 8 octobre 2015.
[4] “Rivelazioni: il jihad di Lafarge-Holcim”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Rete Voltaire, 24 marzo 2017.
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